Al consigliere leghista e giornalista della Valle d’Aosta Andrea Manfrin non piace utilizzar le parole in maniera corretta. Anzi, preferisce usarle per dare alle persone nomi che non hanno. Così una persona nera diviene “risorsa boldriniana” e un destinatario di protezione umanitaria si chiama “clandestino”.
Per questo uso improprio delle parole – che di questi tempi si chiama goliardia o ironia, come quella dei tifosi del Verona – Manfrin è stato sospeso due volte dall’Ordine dei giornalisti della Val d’Aosta. Il capogruppo della Lega in regione ha infatti scritto un post su Facebook nel quale definiva “clandestini” alcune persone che hanno ottenuto la protezione umanitaria. Perché è una violazione dei codici che regolano la deontologia professionale dei giornalisti? Semplice: La Carta di Roma, recepita dal Testo unico dei doveri del giornalista, recita: il giornalista “nei confronti delle persone straniere adotta termini giuridicamente appropriati” evitando “la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti”.
Chiamare clandestino una persona che non lo è, è dunque una violazione della Carta. Non solo, visto che quella parola evoca anche a un reato, si tratta persino di qualcosa di peggio. Naturalmente il leghista annuncia ricorsi, staremo a vedere se l’OdG manterrà il punto.
La violazione della Carta di Roma c’è eccome. Ma naturalmente c’è di più: l’uso della parola clandestino è da anni un grimaldello per diffondere l’equazione immigrato-figura nell’ombra-potenziale delinquente. E i leghisti, e molti altri prima di loro, la usano per questo. Quelle persone sulle barche, che si palesano alle autorità italiane, non sono clandestini nemmeno in teoria. E un numero considerevole di migranti entrati nel nostro paese senza documenti – e neppure richiedenti asilo come capita oggi – hanno smesso di essere “clandestini” quando i governi di centrodestra e di centrosinistra ne hanno sanato la posizione con una serie di regolarizzazioni.
Facendo un esempio che riguarda la categoria in questione, non deve far piacere a chi fa il suo lavoro con coscienza essere chiamato “giornalaio” da qualche esponente politico. Ma questo non interessa a Manfrin e ai suoi sodali. Quel che interessa a noi è che l’Ordine dei giornalisti vigili sull’uso improprio (e politico) delle parole. Come ha scritto la “nostra” Grazia Naletto, “L’equazione immigrati/clandestini/criminali è uno dei messaggi che hanno maggiormente contribuito a orientare il dibattito pubblico e la pubblica opinione nella direzione di un approccio distorto e prevalentemente sicuritario al fenomeno delle migrazioni”. Per questo è ora di bandire quel termine dal linguaggio giornalistico. Ma quello di Manfrin è tutto fuorché giornalismo.