Ogni ritardo nel completamento della procedura per il rilascio della cittadinanza italiana è “ingiustificabile”: si esprime così il Tar del Lazio, accogliendo la class action presentata da 109 cittadini di origine straniera sostenuti da Inca, Cgil e Federconsumatori.
Per legge, il ministero dell’Interno ha due anni di tempo, da quando l’interessato presenta la domanda, per chiudere il procedimento. “Ben 730 giorni di tempo”, come sottolineato dai giudici del Tar. Un periodo “più che idoneo a rendere ingiustificabile ogni ragione di ritardo nel completamento della filiera amministrativa in questione”. Nonostante questo, però, i ritardi appaiono “costanti e sistematici”, come segnalato dai ricorrenti, secondo i quali alla base ci sarebbero “prassi distorsive poste ingiustificatamente in atto da alcune unità territoriali competenti”, come ad esempio la richiesta da parte di alcuni uffici “di documenti non necessari”, o di nuovi documenti “in versione aggiornata[..] seppure l’obsolescenza del dato o della informazione [..] siano da imputarsi ai ritardi con i quali sono state istruite le singole pratiche”. In altri casi, i problemi sarebbero causati dal “mancato raccordo tra amministrazioni competenti”.
Una situazione confermata dai giudici del Tar che, con la sentenza depositata pochi giorni fa, hanno condannato il Ministero “a porre rimedio a tale situazione [..] entro il termine di un anno”, seppur “nei limiti delle risorse strumentali , finanziarie e umane già assegnate in via ordinaria”. Proprio in merito alle risorse finanziarie, è utile sottolineare – come fanno i ricorrenti – che dal 2009 “i richiedenti il rilascio della concessione della cittadinanza italiana sono obbligati a versare una tassa pari a 200 euro, il cui gettito è espressamente finalizzato per metà alla copertura degli oneri connessi alle attività istruttorie inerenti ai procedimenti (…) in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza” (art. 1, comma 12, della legge 15 luglio 2009 n. 94).
“Che fine hanno fatto queste risorse?”, si chiede il responsabile immigrazione Cgil nazionale Piero Soldini, che denuncia: “Sono risorse di fatto ‘sequestrate’ dal ministero dell’Economia, con molta probabilità spese per altro rispetto a quello a cui erano destinate, e questo è grave. Ci aspettiamo delle spiegazioni”.
Sulla sentenza è intervenuta anche la presidente dell’Inca Cgil Morena Piccinini: “Premesso che per noi la questione del tema della cittadinanza sarà risolta definitivamente solo con il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli, ci attiveremo perché questa pronuncia non rimanga limitata a queste 100 persone, ma divenga un cambiamento per tutti”.
La situazione denunciata dalla class action coivolge infatti moltissime persone: “Stando a dati riportati nel corso di un incontro al Cnel da fonti del ministero dell’Interno, in Italia si sono accumulate nel tempo almeno 300.000 domande di cittadinanza. Ma al ministero non riescono ad evaderne più di 50.000 l’anno, con la conseguenza che i tempi per dare una risposta, positiva o negativa che sia, si allungano fino anche a 1.700 giorni, anziché stare nei 730 giorni previsti dalla legge”, ha sottolineato Soldini, secondo cui “la situazione sta peggiorando: c’è un dato che emerge da un rapporto Eurostat del dicembre 2013 che pone l’Italia al 25° posto in Europa per concessione della cittadinanza, e che segnala una riduzione del 15% delle concessioni di cittadinanza. Questo pone un ulteriore problema – ha proseguito Soldini – perché della cittadinanza ai migranti si parla spesso solo in termini di ius sanguinis o ius soli, e noi della Cgil siamo per lo ius soli. Ma qui si tratta di mettere mano a una riforma globale che riguardi anche gli adulti perché siamo ormai il Paese che continua a considerare immigrati e stranieri quelli che stanno qui da tanti anni e che hanno lavoro, figli e nipoti”.
La class action portava con sé anche delle proposte, come la realizzazione di una “attività istruttoria e conoscitiva” da parte del ministero, “il passaggio da una modalità di trattazione in serie delle pratiche ad una modalità in parallelo”, e “l’informatizzazione integrale della procedura”. Tutte proposte che non sono state accolte dal Tar in nome del “limite insuperabile nei confronti del potere del giudice amministrativo”: in altre parole, il Tar si è limitato a ordinare al ministero di seguire le leggi in vigore, senza imporre attività ulteriori.
Le proposte avanzate, ad ogni modo, rappresentano un utile punto di partenza su cui confrontarsi per cambiare una situazione che, oltre a essere lesiva per molte persone, è anche fuori dai confini di legge.