A quanto sembra la Camera tornerà a discutere di cittadinanza a fine giugno. Buona notizia direte voi e lo pensiamo anche noi. Ma ci sono alcuni dettagli che quanto meno fanno pensare. La proposta calendarizzata non è quella firmata da più di 100.000 cittadini nel corso della raccolta di firme promossa dalla campagna L’Italia sono anch’io e depositata proprio alla Camera il 6 marzo. Quella che verrà discussa è invece la proposta depositata il 30 marzo 2011 (N. 4236). La fonte della notizia è un cinguettio diffuso da uno dei firmatari ripreso poi da alcuni siti di informazione.
Il secondo dettaglio: la notizia è stata diffusa alla vigilia della conferenza sulla cittadinanza promossa dalla campagna L’Italia sono anch’io con il patrocinio della Presidenza della Camera che si terrà il 6 giugno. Il dubbio che la calendarizzazione segua almeno in parte logiche del tutto estranee e indipendenti dal tema in questione c’è.
Passando ai contenuti. Quali sono le differenze sostanziali tra la legge in vigore, la proposta calendarizzata e quella della campagna L’Italia sono anch’io? La scheda allegata le riassume. A nostro parere quelle più significative sono le seguenti.
Secondo la proposta Bressa chi nasce in Italia da genitori stranieri è italiano solo se almeno uno dei genitori è legalmente residente da 5 anni. L’Italia sono anch’io ritiene invece sufficiente il soggiorno regolare di un anno. Chi nasce da almeno un genitore straniero a sua volta nato in Italia è italiano ma solo se il genitore soggiorna legalmente almeno da un anno. L’Italia sono anch’io prescinde invece, in questo caso, dalla condizione giuridica dei genitori: ci sono in Italia molti rom nati qui, figli di genitori provenienti dalla ex Jugoslavia; a seguito dello smembramento del paese seguito alla guerra nei Balcani, molti di loro non hanno più un passaporto e di conseguenza non riescono a ottenere un permesso di soggiorno. Perché condannare i loro figli all’irregolarità?
Terzo: per i minori figli di genitori stranieri che non siano nati in Italia la proposta Bressa prevede il diritto di richiedere la cittadinanza entro un anno dal compimento della maggiore età solo se giunti sul territorio italiano entro il 5 anno di età e vi abbiano risieduto legalmente. L’Italia sono anch’io prevede questa possibilità per i minori arrivati entro il decimo anno di età che possono richiedere la cittadinanza entro due anni dalla maggiore età. Il significato di questa proposta è facilmente comprensibile: l’arrivo entro i dieci anni significa che il bambino cresce nel nostro paese e qui compie il proprio percorso di formazione, tesse le proprie relazioni e matura i propri stili di vita. Perché porre il vincolo dell’arrivo entro i cinque anni? Perché non dare più tempo ai ragazzi di decidere e soprattutto di venire a conoscenza di questo loro diritto?
Infine la proposta Bressa non prevede alcuna modifica delle norme che regolano l’acquisizione della cittadinanza da parte degli adulti, mentre la proposta de L’Italia sono anch’io riduce il periodo di residenza necessario da dieci a cinque anni così come, è bene ricordarlo, era previsto prima che entrasse in vigore la legge 91/92.
Che l’inizio della discussione porti all’approvazione di una nuova legge sulla cittadinanza non è scontato: siamo purtroppo abituati ad avere notizia di lavori del Parlamento in questa materia senza che poi sfocino in un risultato. Se ciò accadrà anche in una forma lontana da quella immaginata dalla società civile, ne saremo contenti. Ma saremmo ancora più contenti se il Parlamento volesse almeno confrontarsi con le ragioni di buon senso che stanno alla base della proposta di legge di iniziativa popolare condivisa da centinaia di associazioni nel paese e, soprattutto, da un numero considerevole di cittadini. Lo spirito di questa proposta sta tutto nella volontà di trasformare il diritto di cittadinanza da privilegio per pochi qual è in percorso di inclusione sociale, la più ampia possibile, dissolvendo quei timori e quell’approccio “prudenziale” che traspaiono ancora tra le righe della proposta che sarà discussa in Parlamento.