Dall’inizio del 2013 hanno raggiunto le coste italiane 35.085 persone: è questa la cifra, aggiornata al 14 ottobre, indicata dal Prefetto Riccardo Compagnucci – Capodipartimento Vicario Dipartimento delle Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno – durante la presentazione del rapporto elaborato dal Cir “Access to protection: a human right”.
Il rapporto, finanziato dal Network of European Foundation, nasce nell’ambito del Programma europeo per l’integrazione e la migrazione (EPIM), pensato per promuovere omogeneità nelle politiche e nelle prassi comunitarie per l’accesso al territorio e alla protezione internazionale, e per favorire un “cambiamento culturale”, che faciliti il passaggio da una visione securitaria e incentrata sulle attività di contrasto all’immigrazione “irregolare”, ad un approccio che garantisca il rispetto dei diritti umani. Capofila del progetto è proprio il Cir, in partenariato con l’Hungarian Helsinki Committee (Ungheria), Pro-Asyl Foundation (Germania), The People for Change Foundation (Malta), il Consiglio Greco per i Rifugiati (Grecia) e la commissione spagnola di aiuto al rifugiato- CEAR (Spagna).
Secondo i dati riportati nel dossier, delle oltre 35mile persone che sono arrivate in Italia via mare, 9.805 provengono dalla Siria, 8.443 dall’Eritrea, 3.140 dalla Somalia, 1.058 dal Mali, 879 dall’Afghanistan. Per quanto riguarda, invece, i porti di partenza, la maggior parte salpa dalla Libia (21.027): seguono poi l’Egitto (8.159), la Turchia (1.825), la Grecia (1.650) e la Siria (1.480). Secondo il Cir è “sempre più rilevante la presenza di persone bisognose di protezione internazionale”: ben il 73% delle persone arrivate via mare, ossia circa 24 mila persone, ha infatti le caratteristiche per ottenere la protezione internazionale.
Sono molte anche le persone che raggiungono le coste dell’Adriatico nascoste nelle stive e nei camion, sulle navi commerciali provenienti dalla Grecia: il Ministero dell’Interno riferisce di 1.809 persone identificate nel 2012 presso gli scali marittimi di Ancona, Bari, Brindisi e Venezia. Di queste, più del 90% (1.646 persone) sono state riportate in Grecia.
Nel 2013 si sarebbe registrata una drastica riduzione degli arrivi, ma non dei respingimenti in terra ellenica: sempre secondo i dati dell’Interno, nei primi 6 mesi del 2013 sono state identificate 619 persone provenienti dalla Grecia via mare, e sarebbero 529 quelle rimandati indietro.
“Non abbiamo certezza che nei casi di migranti riaffidati ai comandanti delle navi commerciali si possa parlare di violazione del diritto di accedere alla protezione: non sappiamo infatti se tutti loro abbiano chiesto accesso al diritto d’asilo – spiega il Cir – Ma è grave che agli operatori delle organizzazioni umanitarie che devono prestare servizi informativi non venga sempre dato accesso alle navi e non vengano segnalati tutti i migranti intercettati”. Il Cir sollecita anche una rivisitazione della “pratica di riaffidamento, che risale a un accordo bilaterale con la Grecia del 1999”: proprio per questo andrebbe rivista, come afferma il Cir, nel contesto del Codice Frontiere Schengen.
I valichi sono inoltre sempre più soggetti a logiche di restrizione dei costi “abbassando, al contempo, le possibilità di accesso ai diritti per i migranti, per via delle restrizioni dei servizi di informazione legale e assistenza”.
Il rapporto sottolinea anche un’ulteriore criticità, legata all’accesso alla protezione dei migranti egiziani e tunisini: sono particolarmente frequenti infatti le procedure di respingimento “sommarie e differite” portate avanti nei confronti di questi cittadini, molto spesso rimpatriati senza avere la possibilità di entrare in contatto con le organizzazioni umanitarie. “Dall’inizio del 2013 – si legge nel rapporto – sono stati centinaia gli stranieri egiziani e tunisini rimpatriati senza avere la possibilità di entrare in contatto con le organizzazioni umanitarie”. Queste persone entrano in contatto solo con operatori della Pubblica Sicurezza, che ne verificano la nazionalità: una procedura che non tutela il diritto a chiedere protezione internazionale. Inoltre “egiziani e tunisini vengono solitamente separati dagli altri migranti e collocati prevalentemente in Centri di Primo soccorso e accoglienza (CPSA), adibiti a strutture di detenzione pur non essendo dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), oppure in altri centri chiusi, prima di essere rimpatriati. Risulta – prosegue il rapporto – che il trattenimento dei migranti in tali strutture venga effettuato senza alcuna procedura di convalida giurisdizionale”. Le persone vengono identificate dalle rispettive autorità consolari, e rimpatriate generalmente entro 48 ore dopo il loro ingresso in Italia. Questa prassi si basa “sugli accordi bilaterali di polizia e di riammissione dei migranti irregolari, che spesso assumono la forma di intese a carattere tecnico, sottratte ad ogni controllo parlamentare, con un’evidente mancanza di trasparenza”: lo sottolinea il direttore del Cir Christopher Hein.
“L’Italia ha siglato accordi bilaterali con la Tunisia, L’Egitto, la Libia e l’Algeria: chiediamo che gli accordi bilaterali prevedano norme sugli standard minimi dei diritti umani e includano garanzie per l’accesso alla procedura di asilo, la proibizione di qualsiasi forma di espulsione collettiva ed il dovere di rispettare il principio di non-refoulement”, afferma Hein.
Proprio in riferimento al diritto di accedere alla protezione, il Cir sollecita il governo italiano a chiarire le regole di ingaggio dell’operazione Mare Nostrum, avviata pochi giorni fa. “Tutti i migranti che verranno intercettati dovranno essere portati in un luogo sicuro e deve essere chiaro che la Libia, paese di partenza per molti dei migranti che arrivano in Italia, non può essere assolutamente considerata tale” dichiara Hein, auspicando che Mare Nostrum rispetti “l’obiettivo annunciato da Letta, configurandosi esclusivamente come operazioni di soccorso e salvataggio”. Per permettere alle persone che necessitano di protezione “di arrivare in maniera sicura in un posto sicuro, dobbiamo assolutamente cercare vie alternative di ingresso, prevedendo modalità di ingresso protetto, come la possibilità di richiedere asilo presso le ambasciate e i consolati e il rilascio di visti umanitari temporanei e il reinsediamento per rifugiati”, spiega Hein.
E’ importante sottolineare un ulteriore aspetto: “Per la nostra esperienza – sottolinea il Cir – sono molti gli afgani, iraniani, curdi, siriani, che pur avendo valide ragioni per chiedere asilo spesso preferiscono non essere fotosegnalati ed evitare di essere poi trasferiti in Italia in base al Regolamento Dublino II. Preferiscono ritentare la sorte piuttosto che essere costretti a rimanere in Italia”. Una situazione sempre più frequente, che la dice lunga sul livello di accoglienza e assistenza presente nel nostro paese.