Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), in una nota odierna, si dice gravemente preoccupato per l’approvazione al Senato del c.d. Decreto Sicurezza. “È un decreto che non raggiungerà in nessun modo l’obiettivo che il legislatore si è posto: cioè più sicurezza nel nostro Paese. L’abolizione della protezione umanitaria creerà migliaia di irregolari che non potranno essere rimpatriati, se non in modo molto limitato. Lo smantellamento dello SPRAR determinerà nuove forme di marginalità, derive di esclusione sociale che inevitabilmente renderanno più fragili le persone che arriveranno in Italia enfatizzando il rischio di conflitti e rendendoli permeabili a percorsi di radicalizzazione.” dichiara Mario Morcone Direttore del CIR.
Il c.d. Decreto Sicurezza va a modificare molti degli aspetti portanti del sistema d’asilo e accoglienza costruito nel corso degli anni in Italia, peggiorando sia il livello dei diritti per i richiedenti asilo e i rifugiati che l’efficacia del sistema stesso. Introduce forme estese di detenzione per richiedenti asilo, che potranno essere trattenuti solo per verificare la loro identità e senza aver commesso alcun crimine, sino a 210 giorni. Limita i servizi di accoglienza per i richiedenti asilo che non potranno più avere accesso allo SPRAR, ma che saranno accolti nei centri governativi che, per loro natura e per il preannunciato taglio dei costi, forniranno solo un posto letto e un pasto. Introduce le procedure di frontiera ed estende la cessazione dello status di rifugiato e il diniego per richiedenti asilo anche a quanti hanno commesso reati la cui gravità, come la minaccia a pubblico ufficiale o il furto, non è in alcun modo paragonabile alla lesione che potrebbe derivare loro dal venire meno della protezione.
“Vediamo un altro rischio che ci allarma molto. L’introduzione del trattenimento ai soli fini identificativi e delle procedure di frontiera determinerà sulle coste della Sicilia e delle altre Regioni del Sud la realizzazione, per necessità, di grandi centri chiusi che deterranno migliaia di richiedenti asilo. È sostanzialmente quello che alcuni Paesi Europei ci chiedono da tempo e noi non abbiamo mai voluto fare” continua Morcone.
Colpiscono infine le misure relative alla cittadinanza. I quattro anni richiesti dall’amministrazione per dare una risposta alla richiesta di cittadinanza presentata da una persona che nei precedenti 10 anni aveva già dimostrato di essere nelle condizioni richieste dalla legge, non sembrano compatibile col livello di sviluppo del nostro Paese. Le disfunzioni della pubblica amministrazione non possono essere scaricate su persone che peraltro lavorano e pagano le tasse come tutti gli altri cittadini. “Comprendo e condivido anche le ragioni che spingono verso la revoca della cittadinanza in alcuni casi specifici, che a mio avviso rimarrà una norma bandiera, ma con essa rischiamo di disarticolare un pilastro del nostro ordinamento che è l’Articolo 3 creando le categorie degli italiani e degli italiani fino a un certo punto” conclude Morcone.