All’indomani della visita al Cie di Gradisca, sono tanti i dubbi sollevati dai membri della delegazione, composta da due consiglieri regionali (Giulio Lauri di Sel e Silvana Cremaschi del Pd), dalla vicepresidente della Provincia Di Gorizia, dall’assessore all’immigrazione del comune di Gradisca, dal sindaco di Sagrado e dai membri dell’associazione Tenda per la Pace e Diritti e di LasciateCIEntrare.
La visita è stata effettuata con l’obiettivo di verificare lo stato dei lavori della struttura, chiusa dallo scorso novembre ma, va sottolineato, non per le innumerevoli denunce provenienti sia da figure istituzionali sia da associazioni del terzo settore, bensì in seguito alle dure proteste delle persone detenute nel centro, scaturite in uno sciopero della fame e nel danneggiamento delle stanze. Una chiusura, in altre parole, dettata dall’inagibilità della struttura.
“Gli interventi interessano anche le gabbie che sormontano le vasche – ha spiegato Lauri – e ci chiediamo se l’obiettivo, nonostante le rassicurazioni del ministro Alfano, non sia riaprire il Cie”. Il consigliere si riferisce a quanto dichiarato a maggio dal ministro dell’Interno durante l’incontro con il Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo Schengen e di vigilanza sull’attività di Europol (l’agenzia di polizia europea). In realtà, in quell’occasione il responsabile del Viminale, rispondendo a un’interrogazione presentata dall’onorevole Giorgio Brandolin, ipotizzò la riapertura del centro e la sua “possibile destinazione all’accoglienza dei richiedenti protezione, in considerazione del loro crescente numero”, prospettando quindi una trasformazione – non confermata da dichiarazioni ufficiali – del Cie in Cara (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo). Anche il prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto aveva affermato che “il ministro Alfano ha assicurato di voler seguire le istanze del territorio”, sottolineando che “i politici locali hanno assunto un orientamento ben preciso sull’argomento”. Un orientamento contrario ai Cie, ma anche ai Cara, strutture di grandi dimensioni che non si sono mostrate, in questi anni, in grado di offrire un’accoglienza adeguata ai richiedenti asilo, ma finalizzate piuttosto al loro controllo.
Il primo dubbio della delegazione è proprio questo, quindi: capire che destinazione d’uso si vuole dare alla struttura. Inoltre, “nel corso della visita ci è stato spiegato che il valore dell’appalto del primo lotto dei lavori ammonta a circa 800 mila euro”, ha proseguito il consigliere di Sel, domandandosi “come è possibile che in un momento di grave crisi economica il Governo investa una quantità così ingente di risorse per il rifacimento di una struttura il cui utilizzo non è nè certo nè specificato”. A prescindere dalla finalità della struttura, ancora non chiarita dal Governo, la delegazione ha chiesto “perché non vengono rimosse le inferriate e le gabbie di sicurezza non compatibili con il rispetto dei diritti umani delle persone che dovrebbero eventualmente soggiornarvi”.
E, sempre a proposito di rispetto dei diritti delle persone, ma in questo caso dei lavoratori, rimane irrisolta “la questione del pagamento degli stipendi arretrati dei lavoratori che hanno fatto funzionare il CIE e continuano a gestire il CARA, e del versamento alla regione dei finanziamenti per la cassa integrazione in deroga degli stessi lavoratori da febbraio senza stipendio. Se è veramente incerto – conclude Lauri – il futuro della ex Caserma Polonio, non aveva senso iniziare a usare le risorse onorando gli impegni con lavoratori?”
Qui un approfondimenti, con fotografie e video, di Nicola Grigion di Melting Pot, membro della delegazione.