A quasi cinque mesi dalla sentenza con cui il Tribunale di Bari ha ordinato la ristrutturazione del Centro di Identificazione ed Espulsione pugliese, la situazione è ancora “ben distante dall’assicurare standard dignitosi di vivibilità”: lo denuncia Medici per i Diritti Umani, l’associazione che già nel 2012 aveva “messo in luce le critiche condizioni strutturali e ambientali in cui versava il centro”. Proprio sulla base del fatto che la struttura non presentava condizioni minime di tutela della dignità umana, l’associazione Class Action Procedimentale due anni fa si è fatta promotrice di una class action per chiederne la chiusura. Ed è proprio in risposta alla class action che, lo scorso 9 gennaio, il Tribunale ha ordinato la ristrutturazione della struttura entro 90 giorni, ossia entro il 9 aprile. In caso contrario, “tutti gli stranieri ivi trattenuti” sarebbero dovuti essere trasferiti in altri Cie (ne abbiamo parlato qui).
La recente visita al CIE da parte del team di Medu lo scorso 29 maggio, ha però evidenziato una situazione ben diversa, in cui entrambe le disposizioni sono state disattese. Se alcuni bagni sono stati ristrutturati, altri versano ancora in una condizione indegna, e i moduli che prima risultavano fatiscenti – alloggi, sala mensa e aree comuni- sono ancora “al di sotto degli standard minimi di dignità” e in “condizioni di grave degrado”. Ciononostante, le persone non sono state trasferite.
Sulla questione è intervenuto recentemente, ancora una volta, il Tribunale di Bari: già, perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’Interno hanno presentato ricorso contro la decisione assunta dai giudici il 9 gennaio scorso. Ricorso che è stato rigettato lo scorso 9 maggio dal Tribunale con un’ordinanza secondo la quale “il Ministro dell’Interno Angelino Alfano è tenuto a disporre l’immediato trasferimento dei detenuti del CIE di Bari in strutture idonee a proteggere la loro dignità sino al completamento dei lavori di de-carcerazione imposti dal Tribunale locale e ad oggi non eseguiti nella loro integrità” (qui l’ordinanza).
La condizione della struttura contribuisce a rendere la quotidianità dei migranti detenuti nel CIE insopportabile, e non è un piccolo campo da basket, allestito nel cortile in ottemperanza a quanto stabilito dal Tribunale, a migliorare la situazione. “Qui si rischia di impazzire è l’espressione più ricorrente usata dai trattenuti in tutti i CIE visitati”, secondo la testimonianza del team di Medu. A., un giovane cittadino albanese che vive e lavora in Italia dal 2002 senza essere mai riuscito a regolarizzare la propria posizione, spiega come si sopravvive al CIE: “Devi comportarti come una persona molto anziana: dormire il più possibile, mangiare quello che ti danno, guardare la tv e ancora dormire”.
La posizione assunta dalla Prefettura, che ha vietato agli operatori di MEDU di raccogliere documentazione fotografica, non fa altro che confermare le pessime condizioni in cui versa il Cie. Sicuramente, il budget con cui il Consorzio Connecting People gestisce la struttura – 27,8 euro al giorno a persona, “uno dei più bassi attualmente assegnati per la gestione di un CIE” – non aiuta a migliorarle.
Parliamo, ricordiamolo, di una struttura che come tutti gli altri CIE priva della propria libertà personale persone che hanno come unica colpa di essere prive di permesso di soggiorno, per un periodo che può arrivare sino a 18 mesi. L’obiettivo definito dalla legge è la loro identificazione e il successivo rimpatrio: ma, oltre ad avere “costi umani inaccettabili”, il sistema dei CIE è completamente irrilevante nel contrasto dell’immigrazione irregolare. Stando ai “numeri forniti dall’ente gestore, nei primi quattro mesi del 2014 solo un migrante su tre (il 31%) transitato nel centro di Bari è stato effettivamente rimpatriato”. Un dato in linea con la situazione generale, come evidenziato dai “dati nazionali riferiti al 2013” (ne abbiamo parlato qui). Inoltre, “in occasione dell’ultima visita il centro risultava solo parzialmente utilizzato – tre moduli su sette, con 74 migranti trattenuti a fronte di una capienza complessiva di 80 posti al momento della visita e di 112 secondo quanto previsto dalla convenzione per la gestione del centro”. Una situazione che Medu aveva rilevato anche nel luglio 2012.
Per questo Medu “torna a chiedere il definitivo superamento dei centri di identificazione ed espulsione e, in coerenza con quanto stabilito dalla normativa europea, la riduzione del trattenimento dello straniero a misura di extrema ratio”. Un appello condiviso da molte associazioni che si battono per la garanzia dei diritti, e che si associa a quello di Class Action, che accoglie “il favorevole provvedimento del Tribunale di Bari in composizione collegiale nella consapevolezza ch’esso rappresenta un ulteriore importante passo in avanti nella nostra lunga battaglia legale per la definitiva chiusura dei carceri extra ordinem denominati Centri di Identificazione e di Espulsione”.