Pubblichiamo qui di seguito un articolo di Annamaria Rivera, comparso su il manifesto del 13 settembre 2016, e lievemente modificato per il blog di Micromega. L’autrice analizza tutta la “fortificazione” europea e la proliferazione dei “muri“. Come scrive l’antropologo Michel Agier, se la frontiera permette ancora relazioni e scambi, «il muro rende i migranti “indesiderabili” e (…) autorizza ogni genere di violenze». Inoltre, «rafforzando il fantasma dell’invasione e della contaminazione», soggiunge, «i muri incrementano la paura e richiamano ancora altri muri».
Ci mancava il muro di Calais, progettato dal Regno Unito in accordo con la Francia, per completare il quadro dell’Europa-fortezza. Questa locuzione, che da molti anni usiamo in senso traslato, oggi è divenuta puramente descrittiva. L’imminente costruzione della “Grande Muraglia di Calais” (com’è stata definita con un certo sarcasmo) non è che tappa ulteriore del processo di fortificazione non solo dell’Europa, ma anche di singoli Stati, nonché del dilagare di protezionismi e nazionalismi, a loro volta culla delle formazioni di estrema destra. Per non dire della tentazione ricorrente di esternalizzare e militarizzare le frontiere, prolungando così i bastioni della fortezza fino all’Africa subsahariana.
Fa impressione osservare la mappa delle barriere anti-migranti che, erette lungo le frontiere nazionali, punteggiano sempre più fittamente il territorio europeo. Pioniera in questo campo è stata la Spagna, con le famigerate, blindatissime barriere nell’enclave di Ceuta e Melilla, in territorio marocchino. Costruite a partire dal 1998, anche col contributo finanziario dell’Unione europea, sono costate la vita a non pochi migranti. Basta ricordare che tra settembre e ottobre del 2005 almeno tredici subsahariani furono colpiti a morte dai proiettili di gomma della Guardia civile, mentre tentavano rischiosamente di oltrepassare gli sbarramenti. Per non dire delle centinaia di persone da lì deportate nel deserto del Sahara e abbandonate a una morte quasi certa.
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