A Parma il 29 settembre 2008 Emmanuel Bonsu Foster, giovane ghanese di 22 anni, fu vittima di uno degli episodi più gravi di aggressione e violenza razzista perpetrata da rappresentanti della polizia municipale. A quasi tre anni esatti da quell’operazione “straordinaria” al parco Falcone e Borsellino, il processo di primo grado che ha visto imputati otto vigili urbani, il cosiddetto “caso Bonsu” si è chiuso. Si è chiuso in sordina, senza grandi clamori, offuscato dalla contemporaneità della sentenza di appello sull’omicidio di Meredith Kercher, che ha attirato tutta l’attenzione dei media. La prima udienza era stata aperta il 23 settembre 2010. Da allora, il pm Roberta Licci e i numerosi difensori si sono riuniti quasi una trentina di volte, sempre davanti alle videocamere di “Un giorno in Pretura”, trasmissione di Rai Tre. Tra il pubblico, quasi sempre presente il papà di Emmanuel Bonsu. Degli imputati, solo cinque hanno assistito a gran parte del procedimento: Simona Fabbri, Stefania Spotti, Mirko Cremonini, Andrea Sinisi e Graziano Cicinato. In un primo momento, il comando della polizia municipale ha sostenuto che nessuna violenza era stata perpetrata. Anzi, secondo i responsabili, tra i vigili presenti ci sarebbero stati addirittura dei contusi. Ma nel giro di pochissimo tempo sono state aperte ben tre inchieste. Il pm Roberta Licci ha deciso di convalidare le imputazioni di percosse aggravate, calunnia, ingiuria, insulti razzisti e minacce, perquisizione arbitraria, abuso d’ufficio, falso ideologico e materiale, e ha chiesto la condanna di tutti i vigili con pene fino a 9 anni e tre mesi. I difensori della parte civile hanno chiesto una provvisionale di 500mila euro per il risarcimento dei danni fisici, biologici e morali. Al termine del procedimento agli otto agenti sono state comminate pene per oltre 39 anni complessivi. La condanna più consistente, sette anni e nove mesi con interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, è stata pronunciata nei confronti di Pasquale Fratantuono, l’agente che conservava sul suo computer di servizio una “fotografia-trofeo”, in cui si era fatto ritrarre assieme all’arrestato, indicato con l’epiteto di “scimmia”; lo stesso che aveva scritto “Emanuel Negro” nella busta consegnata al ragazzo. Eppure, per la difesa, si trattava solo di una “foto ricordo”, di un “malvezzo di tante forze di polizia”. Gli uomini della polizia municipale dovranno anche versare 135 mila euro alla vittima come risarcimento per i danni fisici e morali. E’ stata invece respinta la richiesta di considerare il Comune di Parma responsabile civile per quanto accaduto al ragazzo. Da allora, sono passati tre anni e Emmanuel è stato continuamente sottoposto a cure psicologiche: i suoi genitori raccontano che parla poco, che è sempre chiuso, che la paura non lo abbandona. Tra gli otto agenti imputati, invece, pochi hanno passato del tempo in carcere, molti sono stati trasferiti fra gli uffici comunali, perfino promossi in alcuni casi. Altri hanno cambiato città. Solo a tre anni di distanza, il primo e unico gesto di compassione, un cedimento dell’ultimo minuto: il vigile Fratantuono, quello della “foto”, scoppia a piangere in aula: non chiede apertamente scusa, ma lo fa comprendere. E tutti gli altri? Dall’assessore Costantino Monteverdi, che all’epoca si dimise soltanto in maniera istituzionale, al sindaco Pietro Vignali, nessuno ha mai fatto le sue dovute scuse ai Bonsu. Sappiamo invece che alcune delle persone condannate hanno già annunciato il ricorso in appello. Si tratta in ogni caso di una sentenza importante, per questo ci sembra utile ricordare cosa successe a Emmanuel pubblicando di seguito il pezzo scritto da Giuseppe Faso, per il Libro bianco sul razzismo pubblicato nel 2009.
La violenza subita da Emmanuel Bonsu di Giuseppe Faso
Parma, lunedì 29 settembre 2008. Intorno alle 18.15, il 22enne Bonsu Emmanuel Foster, in Italia da 13 anni, di origine ghanese, viene aggredito da tre uomini, che poi si saprà essere vigili urbani in borghese, mentre aspetta l’inizio delle lezioni, davanti all’ITIS serale di via Toscana. Il ragazzo scappa, ma viene raggiunto, messo a terra, tenuto fermo con un piede sulla testa, pestato con pugni e manganelli e ammanettato, mentre un vigile gli punta contro una pistola. Poi sarà ancora picchiato nell’auto e nella caserma dei vigili, dove viene anche insultato, denudato, umiliato da sei agenti almeno. Non gli viene permessa per ore una telefonata a casa. Solo quando cede e firma i verbali, Bonsu Emmanuel può rivestirsi e tornare a casa. Quando viene rilasciato, intorno alle 23, con una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e l’orbita sinistra fracassata, i suoi effetti personali gli vengono riconsegnati in una busta con l’intestazione ufficiale del Comune, e con su scritto: “Emanuel negro”.
L’indomani si reca col padre in una caserma dei carabinieri per denunciare l’accaduto; ne escono solo dopo otto ore. Ma intanto la sua foto con il volto sfigurato dal pestaggio e le prime notizie escono sul sito internet di Repubblica, e vengono aperte quattro inchieste: una della Procura, affidata al Pm Roberta Licci, una interna del Comune, una dell’Ufficio governativo che si occupa di discriminazioni e una da Bruxelles.
L’episodio si inserisce in un clima di intensificazione di simili casi a connotazione razzista: a parte l’omicidio di Abdul Guibre a Milano, si erano verificati alcuni episodi di violenza che avevano visto protagonisti forze dell’ordine e vigili urbani. Ai primi di settembre una famiglia rom era stata malmenata in una caserma a Bussolengo (Cfr. Gianni Belloni, Bussolengo in “Carta” 19/25 settembre 2008). Poche settimane prima facevano il giro del mondo le foto di una prostituta di origini nigeriane ritratta seminuda, impolverata, inerte sul pavimento di una cella di sicurezza nel Comando dei vigili urbani, sempre a Parma (si trattava dello stesso luogo dove Emmanuel viene trattenuto); e a Termoli, il 23 agosto, alcuni vigili urbani avevano trascinato brutalmente, in mezzo a una folla di turisti, un ambulante proveniente dal Bangladesh. Il caso aveva avuto una larga risonanza grazie all’inchiesta del quotidiano locale online primonumero.it, corredata da diverse foto, e al bel servizio della giornalista Chiara Rossotto sul TG3 del 25 agosto.
La preoccupazione diffusa per questi precedenti, la dignitosa reazione del ragazzo e di tutta la sua famiglia e l’evidente arroganza dei vigili e degli amministratori di Parma fanno prospettare un caso limpido. Fin dal primo giorno, Curzio Maltese, in un editoriale su “Repubblica”, individua con precisione sia le responsabilità specifiche che il peso del contesto : «Delegare ai sindaci una parte di poteri, ha significato in questi mesi assistere a un delirio di norme incivili, al grido di “tolleranza zero” (….) Sarà il caso di ricordare a questi sceriffi che nella classifica dei problemi delle città italiane la sicurezza legata all’immigrazione non figura neppure nei primi dieci posti. I problemi delle metropoli italiane, confrontate al resto d’Europa, sono l’inquinamento, gli abusi edilizi, le buche nelle strade, la pessima qualità dei servizi, il conseguente e drammatico crollo di presenze turistiche, eccetera. Oltre naturalmente alla penetrazione dell’economia mafiosa, da Palermo ad Aosta, passando per l’Emilia.» (La Repubblica, 1.10.2008). La “Gazzetta di Parma” dà ampio spazio sia all’assessore alla sicurezza (che il 30 settembre elogia la brillante operazione antidroga compiuta dai vigili) sia alla reazione di chiusura di parte della città, che costituisce un comitato in difesa dei vigili e cerca di insabbiare il caso. Anche in seguito, i giornali locali (come l’Informazione di Parma) daranno ampio spazio a un comitato pro-vigili e alle sue iniziative (una T-shirt con la scritta “Io sono vigile…dentro”, una partita di calcetto per raccogliere fondi a favore dei vigili incriminati), e scarsa ai rappresentanti degli immigrati, che avevano scritto un documento pacato alla popolazione.
Grazie all’intervento dei media nazionali, sindaco e comandante dei vigili si trovano in difficoltà nel difendere il comportamento dei vigili. Prima si prova a dire che era stato fermato uno spacciatore in flagranza (ma si trattava di altra persona), poi il sindaco comincia a defilarsi, e la comandante della Polizia Municipale di Parma, Emma Monguidi, rimane sola a difendere l’indifendibile: «Non c’è stata nessuna violenza sul giovane. Niente insulti, tanto meno in caserma. Non è mai stato spogliato e l’abbiamo trattato con rispetto, come tutti, al di là del colore della pelle (…) Come da prassi lo abbiamo perquisito: ma solo per verificare che non avesse oggetti per autolesionismo. La scritta “negro” sulla busta? Quella busta era bianca, forse l’ha fatta lui» (L’Unità, 1.10.2008). Anche il sindaco, convocato a Palazzo Chigi per un colloquio con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, dichiara qualcosa di simile, ma con beneficio d’inventario: «Ho parlato con il mio assessore. Il rapporto dei vigili afferma che nella busta c’era scritto solo “Emmanuel” non “Emmanuel negro”. La parola “negro” potrebbe essere stata aggiunta successivamente, magari da lui stesso. Questo è quanto riportato dal rapporto dei vigili urbani». Si scopre intanto che il Comune aveva istituito un Nucleo speciale di vigili, con funzioni di polizia, da svolgere anche in maniera autonoma rispetto alle forze di Polizia competenti. Nei giorni successivi, le indagini e le perizie dimostrano non solo che tutto il racconto di Bonsu Emmanuel è veridico, e che la grafia sulla busta è di uno dei vigili (che ha anche scritto “Emanuel” invece che “Emmanuel”, come il ragazzo aveva fatto notare subito), ma portano alla luce una serie di altri dettagli sconvolgenti, dalle modalità del fermo, confermate in tutta la loro brutale violenza da testimoni (tra cui una donna di Parma, intervistata il 6 ottobre nella trasmissione di Rai Tre Chi l’ha visto?) all’interrogatorio condotto alternando i pugni e i calci alle urla “Confessa, scimmia” (La Repubblica 13-11-08), ai modi tenuti dai vigili per ottenere la firma del verbale, a scatola chiusa, “anche se si fosse trattato della sua condanna a morte” (Il manifesto, 13 novembre 2008).
Infine, dopo alcune settimane, il 13 gennaio 2009, gli inquirenti hanno arrestato quattro dei vigili (altri sei saranno processati con loro) perché sono venuti in possesso di alcune prove decisive; tra cui una fotografia, contenuta nel PC di uno dei vigili, che l’aveva cancellata, e che era stata ricostruita dai periti della procura: vi si vede il proprietario del PC che si fa fotografare mentre cerca di sostenere, compiaciuto, il volto di Emmanuel, come un trofeo, mentre il ragazzo cerca di tenere il capo chino. Sul tavolo, è visibile una bottiglia d’acqua usata come manganello; il tutto, a imitazione delle infamie compiute ad Abu Ghraib come nota Michele Brambilla Giustizia: “l’Abu Ghraib di noi altri; una vergogna italiana!”, “Il Giornale”, 16 gennaio 2009, segnando l’abbandono di ogni difesa di quegli uomini in uniforme, dopo la denuncia, il licenziamento del comandante, lo scioglimento del reparto speciale istituito con una delle tante ordinanze con cui i sindaci di mezza Italia hanno accolto il pacchetto sicurezza, istruito dal ministro di centrosinistra Amato e perfezionato dal ministro di centrodestra Maroni. Fuori tempo, invece, un altro quotidiano riportava la notizia degli arresti senza parlare della foto modello Abu Ghraib e producendosi in un occhiello “garantista”: “Presunto pestaggio a Parma” (Il Tempo, 15 gennaio 2009). Solo in seguito a questi arresti, si dimette l’assessore alla sicurezza, Costantino Monteverdi. Dai primi di ottobre l’opposizione in Consiglio Comunale chiedeva queste dimissioni, e persino il presidente del Consiglio Comunale, l’ex-sindaco Ubaldi, aveva espresso forti perplessità sui poteri di polizia delegati ai vigili (La Repubblica-Parma.it, 7 ott.2008).
“Forse – ha dichiarato il procuratore della Repubblica – quei vigili non hanno capito la gravità delle accuse. Li abbiamo arrestati dopo una lunga indagine, ci siamo andati con i piedi di piombo, ma era necessario impedirgli di continuare a lavorare al comando. Le accuse sono violenza privata, perquisizione arbitraria, falso, calunnie, e soprattutto sequestro di persona”. E con l’aggravante della discriminazione “razziale”. A domanda, “Il Comune ha collaborato alle indagini?”, lo stesso procuratore risponde “no” (La Repubblica, 14 gennaio 2009).
La trasmissione televisiva “Un mondo a colori” ha dedicato al caso una puntata di 15 minuti, il 31 marzo 2009, con interviste ai cittadini, alcune della quali di preoccupante chiusura mentale, in nome di una “protezione” da parte dei vigili: il rovescio esatto di un enorme striscione esibito nei primi giorni: “Chi ci difenderà da voi?”. Non viene intervistato Emmanuel Bonsu, che rifiuta di parlare con la stampa dell’accaduto e di cui sappiamo che sta ancora cercando di elaborare il grave trauma subito.