Dopo la chiusura del CARA di Castelnuovo di Porto (noi ne avevamo parlato qui), cala il sipario anche su quello di Mineo, il più grande d’Europa. Tutto come previsto da copione dal Ministro dell’Interno, che proprio il 9 luglio si è recato sul posto per “festeggiare” la chiusura del centro con la solita passerella mediatica per “celebrare la promessa mantenuta”. I trasferimenti previsti per svuotare la struttura sono iniziati il 9 dicembre scorso, e sono continuati fino a qualche giorno fa, al 2 luglio, giorno in cui è stato fatto partire l’ultimo gruppo di migranti.
Ma davvero si tratta di una buona notizia di cui rallegrarsi? Assolutamente no.
La Campagna Lasciatecientrare (che lo ha visitato nel 2015 e nel 2017), Medu, la Rete antirazzista Catanese e Borderline Sicilia (solo per citarne le più coinvolte) e tante altre associazioni, inclusa Lunaria stessa, in tutti questi anni, hanno cercato di spiegare il perché questo centro non avrebbe proprio dovuto sorgere.
La storia del Cara di Mineo è stata un susseguirsi di scandali e denunce, senza che per questo siano stati mai interrotti i finanziamenti governativi. Una “macchina” della malaccoglienza che ha continuato ad assorbire una media di 45 – 50 milioni di euro all’anno. Un centro voluto dalla Lega, ed ora chiuso dalla Lega.
Ma occorre fare un doveroso passo indietro: lungo 8 anni, carichi di vicende che di certo non hanno fatto bene all’accoglienza. Il CARA di Mineo aprì nel marzo del 2011, voluto dall’allora presidente del Consiglio Berlusconi (con ministro dell’Interno il leghista Roberto Maroni ndr), nel contesto della cosiddetta emergenza Nordafrica, come “fiore all’occhiello” del sistema di accoglienza italiano. Doveva essere un “Villaggio della Solidarietà”, quello previsto nel residence degli Aranci a Mineo: ma le quattrocento casette gialle e rosa allineate non sono state assolutamente modello d’inclusione e di buone prassi.
Realizzato all’interno di quello che era stato un villaggio residenziale dei militari americani stanziati a Sigonella, Mineo è diventato il prototipo dei mega-centri per richiedenti asilo, con un affollamento che ha raggiunto nel luglio 2014 cifre record fino a 4500 migranti “ospitati” (e dirlo è un eufemismo), a fronte di una capienza “programmata” di massimo 2.000 persone. Già due mesi dopo la sua apertura, era scoppiata la prima rivolta.
Nel luglio 2013, il parlamentare del gruppo SEL, Erasmo Palazzotto, si era recato a Mineo in delegazione con rappresentanti delle realtà antirazziste locali, per constatare le condizioni delle persone ospitate nel centro. Una visita che ha richiesto quasi 4 ore e mezzo e dagli esiti non proprio “felici”.
Alla fine del 2014, un documento pubblicato da diverse associazioni, tra cui Asgi e Borderline, tornava a denunciare la quotidianità all’interno del Cara, fatta di “gravi e sistematiche violazioni dei diritti fondamentali”.
Nel 2015, toccherà poi a Medici per i Diritti Umani (che ha operato all’interno del CARA per circa cinque anni, portando assistenza medico-psicologica ai migranti vittime di tortura e di abusi nel paese di origine e/o lungo la rotta migratoria) segnalare in un rapporto una serie di gravissime criticità all’interno del centro, con un verdetto molto duro. Secondo il rapporto, infatti, le criticità erano di tale entità e natura da rendere il modello del CARA di Mineo” ingestibile e fallimentare”, indipendentemente da chi ne fosse stato l’ente gestore.
In pochissimo tempo, Mineo era già diventato sinonimo di sovraffollamento, di isolamento della struttura rispetto al territorio circostante, di tempi medi di permanenza interminabili in attesa del riconoscimento della protezione internazionale, di disfunzioni nella fornitura ed accesso ai servizi di supporto psicologico e legale, di fenomeni di degrado sociale difficilmente gestibili (si veda anche il report di Alessandra Sciurba del marzo 2015, quando ha visitato il centro con l’Europarlamentare Eleonora Forenza). E poi: l’assenza di un’adeguata consulenza socio-legale, la mancanza di informative sui diritti e le possibilità dei richiedenti asilo, insieme ad altre prassi illegittime e divenute con il tempo normali pratiche quotidiane della malagestione. E ancora: sinonimo di abusi, di condizioni di vita indegne e poi oggetto di indagini che hanno coinvolto sia gli ospiti sia i dirigenti del centro.
L’inchiesta di Mafia Capitale, che ha travolto in pieno anche il C.A.R.A. di Mineo (qui le tappe della commissione parlamentare Antimafia), ha confermato l’esistenza, denunciata invano per anni, di una lucrosa speculazione sull’accoglienza dei migranti («Su Mineo casca il Governo…io potrei, cioè, se possiamo spegnere il registratore glielo dico, se può spegnere un secondo», aveva detto Salvatore Buzzi, come lo avevamo raccontato qui). Ed ha evidenziato come, purtroppo, Mineo rappresentasse la punta dell’iceberg di un sistema di corruzione diffusa che non ha mai esitato ad approfittare della condizione di disperazione e di necessità dei migranti che sbarcano sulle nostre coste.
Uno dei dati più sconcertanti emerso in questi 8 lunghi anni è la totale contrapposizione fra le valutazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta, che in un documento redatto dopo le ispezioni ha chiesto la chiusura immediata del C.A.R.A., i vari report prodotti dalle visite dei parlamentari e le denunce delle associazioni, da un lato, e dall’altro le valutazioni dei vari enti gestori, per i quali il centro è sempre stato “un modello”, pur migliorabile, di accoglienza.
Di fatto, dietro questa struttura enorme, che tutto ha potuto fare tranne che accogliere dignitosamente i migranti e garantire loro qualcosa che vagamente si avvicini ad una minima inclusione sociale, si è celata una formula di gestione segregativa e securitaria, ghettizzante e marginalizzante.
Medici per i Diritti Umani (Medu), in una nota diffusa alla stampa ieri, “accoglie con soddisfazione la notizia della chiusura definitiva dei cancelli di un centro che mai avrebbe dovuto esistere, anche se ciò avviene con 4 anni di ritardo rispetto al 2015, quando con un primo rapporto Medu ne invocava la chiusura”. Anche la Rete Antirazzista Catanese, in un comunicato, ha ribadito: “Da sempre ci siamo schierati contro l’apertura del Cara, simbolo europeo del megabusiness della pseudo accoglienza ed abbiamo sostenuto le giuste proteste dei e delle richiedenti asilo contro le condizioni d’invivibilità, d’insicurezza e di violenza che per 8 anni hanno subito decine di migliaia di persone parcheggiate a tempo indeterminato, sfruttate dai caporali delle campagne calatine e donne migranti costrette a prostituirsi nell’indifferenza delle ingenti forze di polizia, carabinieri ed esercito. Il ministro Salvini ha cavalcato l’onda nera del razzismo per chiudere non il Cara della mala accoglienza e di Mafia Capitale, ma per smantellare l’accoglienza in generale, come dimostrano i 2 decreti sicurezza scritti per criminalizzare non solo le ong delle navi umanitarie, ma anche il sistema Sprar e le sue esperienze più avanzate, come a Riace”.
Si è trattato, infatti, di una chiusura netta e senza prospettive (come quella del CARA di Castelnuovo di Porto), che in nessun caso ha voluto tener conto delle persone che vi erano ospitate né dei lavoratori che di loro si occupavano. E noi diremmo, ancora una volta. Visto che questo luogo si è “distinto” da sempre per una mancanza di riconoscimento della dignità umana.
I pochi (rispetto ai grossi numeri iniziali) migranti che erano nel centro prima che cominciasse lo smantellamento, non sono stato collocati in strutture migliori, quanto piuttosto in posti nei quali l’accoglienza è ancora più precaria, e ciò risulta ancora in modo più evidente per i più fragili ed i più vulnerabili. Molti di loro, come denuncia Medu, si sono ritrovati addirittura in strada senza più nulla. I tanti lavoratori coinvolti in questa grande macchina dell’indegno, che pur hanno lavorato in mezzo a mille disagi, si sono ritrovati senza alcuna prospettiva di re-impiego.
Il problema, in definitiva, non è la chiusura in sé di Mineo, che non avrebbe mai dovuto aprire, quanto piuttosto il diabolico piano di progressivo smantellamento del sistema di accoglienza con il preciso obiettivo di destabilizzare e colpire quel poco di buono che è stato fatto sin qui (noi ne avevamo già parlato qui).
E uno smantellamento del genere non dovrebbe prevedere il risorgere dalle ceneri di Mineo altri orrori come questo (come è stato fatto in buona sostanza anche per i CIE diventati poi CPR).
La soluzione sta un po’ più in là. Solo che non la si vuole proprio vedere.