“All’art. 3, il testo fondativo della Repubblica stabilisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza…»: e quella parola – «razza» – suona davvero male, in una carta che sancisce la piena uguaglianza e la parità di diritti. Già, ma perché i Padri Costituenti usarono un termine così odioso, che richiamava l’antisemitismo di stato e i progetti hitleriani di sterminio?”
Così Sergio Bontempelli, ragionando sul concetto di “razza” presente nella nostra Costituzione. Un ragionamento che non risale all’oggi: l’articolo di Bontempelli è stato pubblicato su Corriere delle Migrazioni nel marzo 2015. Secondo Bontempelli, la preoccupazione dei padri Costituenti era quella di “superare la stagione delle discriminazioni“; proprio per questo, “non si poteva cancellare di colpo la parola «razza»: era necessario usarla, ma per affermare l’uguaglianza di tutti i cittadini”.
A distanza di tre anni, il ragionamento proposto da Bontempelli torna più che mai attuale, a fronte di dichiarazioni politiche – del candidato leghista alla Regione Lombardia, Roberto Fontana – particolarmente gravi, che riprendono in chiave propagandistica il concetto di “razza bianca”.
Riproponiamo l’articolo di Bontempelli: un’analisi indispensabile per capitare, e evitare di cadere nelle trappole della strumentalizzazione a fini elettorali.
Che razza di Costituenti
S. Bontempelli
Ne abbiamo parlato nell’ultimo numero del nostro giornale: due autorevoli scienziati, Gianfranco Biondi e Olga Rickards, hanno lanciato un appello per cancellare la parola «razza» dalla Costituzione italiana. Si ricorderà che, all’art. 3, il testo fondativo della Repubblica stabilisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza…»: e quella parola – «razza» – suona davvero male, in una carta che sancisce la piena uguaglianza e la parità di diritti.
Già, ma perché i Padri Costituenti usarono un termine così odioso, che richiamava l’antisemitismo di stato e i progetti hitleriani di sterminio? Difficile pensare a una svista: chiunque conosca anche superficialmente i lavori della Costituente sa che ogni parola fu attentamente soppesata, ponderata, «limata» fino alla nausea. Ed è improbabile che un vocabolo così «pesante» possa essere sfuggito di mano. E, infatti, i deputati di allora si interrogarono a lungo sulla parola «razza», e decisero di usarla, per così dire, a ragion veduta. Lo si evince dai verbali delle sedute, disponibili in rete sia nel sito della Camera (qui e qui) sia, in versione più facilmente consultabile, in un portale wiki curato dall’Università di Bologna.
Il contesto
Prima di entrare nel dettaglio, sarà bene ricordare un dato «di contesto»: all’epoca, il concetto di «razza» era politicamente screditato, ma aveva ancora una sua legittimità scientifica. I Costituenti sapevano benissimo che quel termine aveva legittimato lo sterminio e la persecuzione degli ebrei, nonché le tante «pulizie etniche» della Seconda Guerra Mondiale: eppure, esso faceva parte del vocabolario degli studiosi e dei ricercatori, ed era difficile prescinderne.
La prima presa di posizione antirazzista della scienza «ufficiale» arrivò in effetti solo nel 1950. In quell’anno un gruppo di antropologi e biologi, riuniti sotto l’egida dell’UNESCO, elaborò la cosiddetta «Dichiarazione sulla razza», secondo la quale non vi era «alcuna prova che i gruppi umani differiscano nelle loro caratteristiche mentali innate, riguardo all’intelligenza o al comportamento». Posizioni di questo tipo esistevano già all’indomani della guerra, ma erano ancora minoritarie nel mondo scientifico. Il dibattito alla Costituente è uno specchio di queste ambiguità: da una parte, i deputati volevano superare la stagione delle leggi razziali e della discriminazione di Stato, ma dall’altra facevano un uso disinvolto del concetto di «razza». Così, nei verbali delle sedute si trovano a volte frasi di questo tenore: «basta aprire un qualsiasi testo di geografia per trovare che gli uomini si dividono in quattro o cinque razze»[Seduta Plenaria del 24 Marzo 1947, pag. 2423, l’affermazione è di Renzo Laconi, Pci]
«Razza» o «stirpe»?
Ma andiamo con ordine. Come noto, i lavori della Costituente si articolarono in due momenti distinti. In una prima fase, l’Assemblea demandò il compito di redigere un testo provvisorio a una Commissione: questa lavorò dal Luglio 1946 al Gennaio 1947, dividendosi a sua volta in tre «sottocommissioni». A partire dal Marzo 1947, il progetto di carta costituzionale passò poi al dibattito in Aula.
La parola «razza» fece capolino subito, sin dalle prime riunioni della Commissione: fu il democristiano Giorgio La Pira, il futuro (e famoso) Sindaco di Firenze, a inserirla in una bozza di lavoro presentata ai deputati. «Davanti al sistema integrale dei diritti della persona – si leggeva in uno degli articoli proposti da La Pira – gli uomini sono tutti eguali a prescindere dalle loro attitudini, dalla loro razza, classe, religione, opinione politica o sesso». Era, per così dire, l’«antenato» dell’attuale articolo 3.
L’utilizzo della parola «razza» non sfuggì agli attenti deputati. Roberto Lucifero d’Aprigliano, esponente del Partito Liberale e monarchico convinto, propose di sostituirla con “stirpe”, un vocabolo «più consono alla dignità umana». Gli altri parlamentari, però, obiettarono che il termine razza era «entrato nell’uso comune da quando fu impostata dal fascismo la questione razziale»: era dunque difficile prescinderne. Quella parola così odiosa, concluse Togliatti, «dovrebbe essere usata appunto per ripudiare la politica razziale del fascismo» [Commissione per la Costituzione, Prima Sottocommissione, Resoconto del 14 Novembre 1946, pagg. 377-378].
Le comunità ebraiche scendono in campo
La prima bozza di Costituzione, uscita nel Gennaio 1947, conteneva dunque la parola «razza». Ma il dibattito sull’opportunità di usare quel termine non si chiuse con i lavori della Commissione. E anzi si spostò dalle aule parlamentari alla discussione pubblica «nel paese», come si diceva allora.
Il 3 Marzo 1947 intervennero le prime vittime delle politiche razziali del fascismo: l’Unione delle comunità israelitiche italiane inviò alla Costituente un documento molto articolato, in cui accanto alle libertà religiose si chiedeva l’eliminazione della parola “razza”, «da lasciare ai cani e ai cavalli» [Rilievi e proposte presentate dalla Unione delle Comunità israelitiche italiane sul progetto di Costituzione della Repubblica italiana formulato dalla Commissione per la Costituzione, Roma 1947, pag. 9].
Le scelte dei Costituenti
L’intervento delle comunità ebraiche sollecitò una nuova discussione, stavolta in assemblea plenaria. Nella seduta del 24 Marzo, il gruppo DC presentò un emendamento volto a sostituire la parola «razza» con «stirpe»: e paradossalmente, furono le sinistre a opporsi.
«In questa parte dell’articolo – spiegò il comunista Laconi – vi è un preciso riferimento a qualche cosa che è realmente accaduto in Italia, al fatto cioè che determinati principî razziali sono stati impiegati come strumento di politica ed hanno fornito un criterio di discriminazione degli italiani, in differenti categorie di reprobi e di eletti».
«Comprendo che vi sia chi desideri liberarsi da questa parola maledetta – aggiunse Meuccio Ruini, esponente del Partito Democratico del Lavoro di Ivanoe Bonomi – ma è proprio per reagire a quanto è avvenuto nei regimi nazifascisti, per negare nettamente ogni diseguaglianza che si leghi in qualche modo alla razza, è per questo che – anche con significato di contingenza storica – vogliamo affermare la parità umana e civile delle razze».
La preoccupazione dei Costituenti, insomma, era quella di superare la stagione delle discriminazioni. E poiché la parola «razza» era stata usata per discriminare ed escludere, non si poteva cancellarla con un colpo di penna: era necessario usarla, ma per affermare l’uguaglianza di tutti i cittadini. Il ragionamento, alla fine, convinse anche i democristiani, che ritirarono l’emendamento e votarono a favore dell’articolo 3.
Sergio Bontempelli