“Rieccoci qui, lo sfratto ai danni di alcuni dei braccianti ex lavoratori della ditta Lazzaro, già rinviato 2 volte, proveranno ad eseguirlo lunedì 20 gennaio..”. Rieccoci qua, scrive Daniela Cauli, una dei membri del Presidio permanente di Castelnuovo Scrivia (Alessandria) annunciando un sit in per il 20 gennaio in viale Scrivia a partire dalle 8.30. Rieccoci, perché la vicenda legata agli ex lavoratori della ditta Lazzaro va avanti da due anni.
E’ iniziata a giugno 2012, quando circa 30 braccianti di cittadinanza marocchina impiegati nell’Azienda Agricola Lazzaro entrano in sciopero spontaneo. Il motivo è semplice e chiaro: vogliono essere pagati, visto che alle lunghe giornate di lavoro (mediamente di tredici ore) non è corrisposto il -seppur minimo- compenso stabilito, ossia 4 euro all’ora. Il tutto, senza alcuna tutela: gran parte dei braccianti lavora senza contratto.
Intervengono la Prefettura e la Provincia, in un tentativo – fallito – di mediazione tra i lavoratori e l’azienda.
Davanti al muro di gomma dei proprietari della Lazzaro, il 1 agosto 2012 la Flai-Cgil annuncia una “vertenza simbolo”. Il punto centrale della vertenza è il fatto che la ditta Lazzaro, a fine luglio, non ha più rinnovato i contratti a 14 braccianti, guarda caso proprio i lavoratori di origine marocchina che avevano preso parte alla protesta.
Non solo: i proprietari della Lazzaro hanno anche preferito rivolgersi alla cooperativa Work Service di Brescia richiedendo esclusivamente braccianti indiani, per poi, il 17 agosto, affiggere su un palo della luce un cartello: “I marocchini dipendenti non lavorano più” (ne abbiamo parlato qui).Comunicavano in questa maniera il licenziamento, spiegando – a chi lo chiedeva – che a causa della protesta erano state perse delle forniture per i supermercati Bennet e non c’era più lavoro. Strano, visto che i cittadini indiani neoassunti continuano oggi a lavorare normalmente, e anzi dai 12 delle prime assunzioni si è ora passati a una trentina di lavoratori.
Il 21 agosto 2012, l’ennesimo incontro in Prefettura portava “al ripristino dell’accordo del 3 agosto scorso che prevedeva l’impiego a rotazione di 12 lavoratori, ormai tenuti a casa da giorni, e al pagamento di un acconto per le somme dovute a tutti i lavoratori impiegati e che da mesi non vengono pagati”, spiega Antonio Olivieri, del Presidio. Inoltre “Prefettura e Provincia, durante il tavolo convocato con il sindacato, hanno espresso l’impegno a trovare una soluzione per ricollocare tutti i lavoratori che in base all’accordo di luglio sarebbero dovuti rientrare a lavoro”.
Le persone però non sono state riassunte, nemmeno a rotazione, e la soluzione alternativa è stata trovata solo per sei lavoratori, impiegati nei tirocini professionalizzanti attivati in tre cooperative dell’alessandrino.
Per gli altri sedici, il nulla. Ma qui non si tratta di persone che hanno perso il lavoro a causa, ad esempio, della crisi. Queste persone non lavorano più “per aver avuto il coraggio di ribellarsi a condizioni di lavoro ai limiti dello schiavismo”, dichiarano Olivieri e Cauli, solidali con i braccianti, che preferiscono non esporsi a livello mediatico per paura di ulteriori ripercussioni sulla loro vita professionale. Inoltre non hanno percepito alcun arretrato dai Lazzaro: “in molti non riescono a far fronte al pagamento degli affitti , oltre a rischiare il rinnovo dei permessi di soggiorno, legato al lavoro secondo le pessime leggi italiane. Non devono pagare per aver avuto il coraggio di ribellarsi, rivendicando così diritti e dignità!” affermano i membri del presidio permanente.
I tempi delle vertenze si prospettano lunghi, visto che sono partite in grave ritardo e date anche le “difficoltà attualmente esistenti per recuperare i 27.000 euro riconosciuti da una causa di lavoro vinta nel 2013”.
C’è poi un aspetto poco chiaro che coinvolge la ditta, al cui indirizzo, secondo quanto dichiarato dal Presidio, si sarebbe costituita una nuova società, la Castelfresco srl, il cui cda sarebbe presieduto da Paolo Viarenghi, “dirigente dell’associazione agricola Cia che rappresentava la Lazzaro durante gli incontri in Prefettura dell’estate 2012”.
Per cercare chiarimenti sull’intera vicenda, il presidio martedì mattina (14 gennaio 2013) era sotto la Prefettura di Alessandria per chiedere un incontro urgente con il Prefetto Romilda Tafuri, la quale, però, al momento “non ci ha dato nessuna risposta, nonostante le reiterate richieste se non una brevissima lettera risalente al 9 ottobre 2013, estremamente generica, ma nella quale non si dà alcuna disponibilità alla nostra richiesta d’incontro”.
“Registriamo un silenzio continuo da parte della Prefettura e delle varie istituzioni”, prosegue Olivieri, che segnala anche che, “oltre alle diverse denunce già giacenti in Procura a carico di attivisti e braccianti del Presidio, i Lazzaro hanno di nuovo denunciato per ‘invasione di terreno’ un sindacalista e otto lavoratori che si erano recati in cascina per richiedere la formalizzazione del famoso licenziamento comunicato solo verbalmente”.
La situazione degli ex braccianti della Lazzaro non è un caso a sé: esemplifica piuttosto un fenomeno generalizzato. Allo sportello legale del Presidio permanente di Castelnuovo Scrivia continuerebbero infatti ad arrivare lavoratori da tutto il tortonese e dalla bassa Valle Scrivia per denunciare le stesse condizioni di lavoro, tanto che il Presidio starebbe pensando di creare un libro bianco sulla situazione bracciantile della zona. “C’è un nodo politico che nessuno vuole affrontare: questo è un problema che investe tutto il mondo agricolo e, come a Rosarno, Saluzzo e Nardò riguarda l’intera filiera agricola e anche, e soprattutto, la grande distribuzione e il suo rapporto con i produttori”. Una lunga catena in cui l’ultimo anello, il più debole, sarebbe proprio quello dei lavoratori, “e soprattutto i migranti”. Proprio quanto denunciato poco fa da Campagne in lotta e Sos Rosarno.
Per quanto riguarda i lavoratori licenziati dalla Lazzaro, senza stipendi arretrati e senza lavoro rischiano di essere sfrattati dalle loro abitazioni. Un rischio concreto: il primo sfratto è stato fissato per il 20 gennaio. Proprio contro questa misura è stato organizzato il sit-in.