La prima sezione penale della Cassazione, con sentenza numero 8108, ha assolto due imputati, giudicati con rito abbreviato, che erano finiti sotto processo per aver fatto il saluto fascista durante una manifestazione svoltasi a Milano, il 29 aprile 2014. Tale manifestazione era stata promossa da alcuni appartenenti al partito Fratelli d’Italia per commemorare tre militanti fascisti. Nonostante all’epoca la questura avesse espressamente vietato bandiere con croci celtiche e altra simbologia fascista, quel divieto era stato ignorato, e la manifestazione era andata avanti comunque per “motivi di ordine pubblico“.
Il reato che era stato imputato ai due militanti di destra (“concorso in manifestazione fascista“) è previsto all’art.5 della legge Scelba. La pena prevista è la reclusione fino a tre anni e multe fino a 500 euro. La condotta incriminata è quella di chi, partecipando a pubbliche riunioni, “compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista o di organizzazioni naziste”. Nelle quali, vi rientrerebbe anche il saluto fascista, o meglio, il saluto romano.
La Suprema Corte, con una sentenza che sta facendo molto discutere, proprio alla luce degli ultimi avvenimenti di cronaca e della campagna elettorale in corso, ha stabilito che il cosiddetto “saluto romano” può essere considerato una “libera manifestazione del pensiero e non un attentato concreto alla tenuta dell’ordine democratico”.
I giudici hanno escluso che la manifestazione milanese del 2014 avesse assunto connotati tali da suggestionare e indurre “sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista”. Nell’argomentare la propria decisione, la Cassazione fa degli esempi in cui, al contrario, andrebbero ravvisati gli estremi del reato di manifestazione fascista: è il caso di chi intona «all’armi siamo fascisti» (inno considerato come professione di fede e un incitamento alla violenza), o di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale, o ancora di chi, dopo la lettura di una sentenza, compie il saluto romano e grida più volte la parola «sieg heil» (ossia «saluto alla vittoria»).
Dunque, secondo la sentenza, quando il saluto romano viene fatto solo con uno scopo puramente “commemorativo” – come quello, nel caso in questione, in onore di militanti morti – senza «alcun intento restaurativo del regime fascista», il gesto non è reato e non può essere punito. Ricordando una precedente sentenza, la Corte conferma che l’art. 5 della legge Scelba, così come modificato dall’art. 11 della legge n. 152 del 1975, non sanziona “le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, attese le libertà garantite dall’art. 21 della Cost.”, ma le sanziona solo quando “le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi.”
Un pericolo quest’ultimo da non sottovalutare visto il clima che si respira nel paese.