Nessun costo per il permesso di soggiorno. Proprio così: dopo tanti anni, non si dovranno più pagare le alte cifre finora richieste per il rilascio e il rinnovo del documento. La decisione arriva dal Tar del Lazio che, rispondendo al ricorso presentato nel 2012 da Cgil e Inca, con la sentenza n. 06095/2016 depositata oggi in segreteria, ordina alla pubblica amministrazione l’immediata disapplicazione del provvedimento con il quale si impone ai migranti di pagare un esoso contributo per ottenere il rinnovo e il rilascio del permesso di soggiorno.
Viene così annullato il decreto ministeriale con il quale, nel 2011, veniva adottata la nuova normativa sui permessi di soggiorno, nella parte in cui stabiliva che per il rilascio degli stessi doveva essere pagato un contributo variabile tra gli 80 e i 200 euro. Un decreto che istituiva anche un fondo rimpatri, nel quale far confluire la metà del gettito conseguito e i contributi eventualmente disposti dall’Unione europea, stabilendo che la quota residua venisse assegnata al ministero dell’Interno, per quel che riguardava gli oneri connessi alle attività istruttorie inerenti al rilascio e al rinnovo dei permessi.
A seguito del ricorso dei sindacati, già nel maggio 2014 il Tar del Lazio aveva portato la questione della contribuzione per il rinnovo dei permessi di soggiorno all’attenzione della Corte di Giustizia Europea, chiedendo se tale contributo fosse legittimo alla luce dei principi comunitari. E la Corte di Giustizia stabiliva che il contributo richiesto risultava “sproporzionato” e “atto a creare un ostacolo all’esercizio dei diritti conferiti” dalla direttiva del Consiglio sulla questione.
Oggi, tutte le richieste formulate da Cgil e Inca sono state accolte. “È una vittoria non soltanto del sindacato, ma di tutti i cittadini stranieri presenti in Italia che chiedono di poter affermare il loro diritto all’integrazione -dichiarano in una nota congiunta Cgil e Inca-. Il Tar del Lazio ha definitivamente chiuso il lungo percorso da noi iniziato nel febbraio 2012 all’indomani dell’entrata in vigore della norma. Siamo stati i primi a contestare la misura che da subito abbiamo considerato ingiusta, discriminatoria e incompatibile con le direttive europee. E oggi il Tribunale ci ha dato ragione su tutta la linea”.
In definitiva, si tratta di un dispositivo immediatamente operativo, che di fatto priva di qualsiasi supporto giuridico, anche pregresso, la legislazione che ha imposto finora tale contributo. In attesa che il Governo ritiri ufficialmente il contributo, Cgil e Inca continueranno a raccogliere i ricorsi dei cittadini stranieri che chiederanno la restituzione di quanto l’amministrazione pubblica ha indebitamente riscosso.