La lotta contro il caporalato compie un importante passo in avanti. E’ stato infatti finalmente approvato alla Camera, martedì 18 ottobre, il ddl per il contrasto del reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” con 336 voti a favore e nessun voto contrario. Venticinque gli astenuti, tutti appartenenti ai gruppi di Forza Italia e Lega. La norma va a modificare l’articolo 603 bis del codice penale – intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro- e intende colpire tanto i caporali quanto i datori di lavoro che si servono dello sfruttamento dei braccianti.
Contro lo sfruttamento, carcere per caporali e datori di lavoro
Prima di tutto, è previsto il carcere – fino a sei anni di reclusione, fino a otto se c’è violenza o minaccia– sia per la figura dell’intermediario tra lavoratore e azienda – il cosiddetto caporale, che “recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”-, sia per il datore di lavoro che si serve di questa figura di intermediazione illecita, “sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”.
Multe e confische
Per ogni bracciante reclutato attraverso l’intermediazione illecita, la legge prevede multe da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore – in caso di minaccia o violenza, la sanzione può arrivare fino a 2mila euro. Come criteri per capire se ci si trovi in presenza di una condizione di sfruttamento, il testo indica “reiterate retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”, “reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie”, “violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene”; “sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti”. La presenza di lavoratori minorenni in età non lavorativa, di situazioni di grave pericolo imposte al lavoratore, e di più di tre lavoratori reclutati, costituiscono un’aggravante, comportando dunque un aumento della pena.
Inoltre, il testo prevede, in caso di condanna o di applicazione della pena, “la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persona estranea al reato”.
Estensione del Fondo Antitratta e potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità
I beni confiscati andranno ad alimentare il Fondo Antitratta, che dovrebbe finanziare anche programmi di assistenza per le vittime del caporalato: una misura che riconosce come spesso le persone sfruttate nei lavori agricoli siano reclutate attraverso mezzi illeciti, come la tratta. Infine, la nuova legge potenzia la Rete del lavoro agricolo di qualità – organismo attivo dal 1 settembre 2015, che certifica le aziende virtuose, con l’obiettivo di “rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo” – aprendo l’adesione anche a nuovi soggetti, come gli sportelli unici per l’immigrazione, le istituzioni locali, i centri per l’impiego, i soggetti abilitati al trasporto dei lavoratori agricoli, e gli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura.
Sono inoltre previsti un piano di interventi per la “sistemazione e il supporto dei lavoratori agricoli stagionali”, nuove procedure sperimentali di collocamento agricolo a livello territoriale e un’accelerazione sul piano del riallineamento retributivo in agricoltura.
Controllo dell’azienda
Il ddl approvato prevede che nel corso del procedimento penale ci sia la possibilità di disporre il controllo giudiziario dell’azienda coinvolta: una misura che può sostituire il sequestro preventivo dell’impresa, “qualora l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del complesso aziendale”. Laddove si scelga questa possibilità, gli amministratori nominati dal giudice sono tenuti a controllare le condizioni di lavoro e l’effettiva regolarizzazione dei lavoratori che prestavano la propria opera in nero.
La nuova legge rappresenta una misura necessaria, di fronte a una situazione che definire grave è un eufemismo. Secondo quanto riportato dal terzo rapporto Agromafie e caporalato, realizzato lo scorso maggio dall’osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL, le infiltrazioni mafiose nella filiera agroalimentare e nella gestione del mercato del lavoro attraverso la pratica del caporalato muovono in Italia un’economia illegale e sommersa che oscilla tra i 14 e i 17,5 miliardi di euro. Sarebbero oltre 400mila le persone sottoposte a sfruttamento lavorativo – tanto italiane quanto straniere – per circa 80 distretti agricoli presenti in tutta Italia, da nord a sud.
Il problema non è il caporalato, bensì la filiera
Nonostante l’innegabile passo in avanti, il testo presenta delle notevoli criticità, lampanti agli occhi di chi il fenomeno dello sfruttamento nei campi lo conosce molto bene. Prima di tutto, la legge non prevede ipotesi di abuso oltre il caporalato, che invece esistono, come sottolinea su Terre Libere Antonello Mangano, autore di Ghetto Economy. “I caporali sono soltanto uno degli anelli della catena. E neppure il più importante, visto che anche dove non esiste il caporalato ci sono fenomeni di sfruttamento estremo ed esteso”, sottolineava Mangano tempo fa, evidenziando che “il nodo del problema è il potere assoluto, cioè sciolto da ogni vincolo, delle aziende” all’interno di un sistema produttivo che comprime i costi a scapito dei diritti dei lavoratori.
Anche il dossier di Filiera Sporca ha concentrato l’attenzione sul fatto che “buona parte del dibattito pubblico è ancora concentrata sul caporalato (l’effetto), quasi mai sulla filiera (la causa). Ma se oggi, come per magia, i caporali non esistessero più, esisterebbe ancora lo sfruttamento del lavoro? I braccianti, stranieri e non, verrebbero ancora sfruttati? La risposta è drammaticamente semplice: sì”.
Anche Yvan Sagnet, uno dei portavoce dei lavoratori stranieri durante lo sciopero alla Masseria Boncuri a Nardò (Puglia) nell’agosto del 2011, e attualmente delegato sindacale per la Flai Cgil Puglia, da tempo evidenzia la necessità di colpire chi lucra sullo sfruttamento dei lavoratori: “L’unica cosa da fare è il boicottaggio nei confronti di quei supermercati che vendono prodotti raccolti dagli schiavi nelle campagne pugliesi”, è la proposta che Saignet lancia da tempo.
La legge, inoltre, interviene con un approccio prevalentemente repressivo che non incide sulle cause dello sfruttamento, tra le quali va evidenziata una totale mancanza di risposte legali in merito alla necessità di favorire l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. “Come possiamo mettere insieme squadre di braccianti stranieri in modo rapido e legale?”: questa è la domanda che si pongono molti imprenditori agricoli, di fronte all’inefficacia degli uffici di collocamento e a una grave assenza delle istituzioni in questo settore, come sottolineano Fabio Ciconte e Stefano Liberti su L’Internazionale.
“Una legge da sola non basta” – ammette il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, uno dei maggiori promotori del ddl – “Dobbiamo lavorare uniti per non avere mai più schiavi nei campi”.
Nonostante i molti possibili miglioramenti che speriamo avvengano in tempi brevi, la nuova legge introduce misure necessarie e, soprattutto, considera la responsabilità delle aziende, che fino ad ora si chiamavano fuori da qualsiasi consapevolezza circa quello che succedeva ai livelli più bassi della filiera.
Serena Chiodo