In Italia la schiavitù esiste, almeno stando al Primo Rapporto su caporalato e agromafie, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto, presentato dalla Flai Cgil il 10 dicembre, a Roma.
La ricerca ha coinvolto 14 regioni, con l’obiettivo di tracciare i flussi stagionali di manodopera e gli epicentri delle aree a rischio caporalato e sfruttamento lavorativo. Ne è uscito un quadro preoccupante, che vede un’illegalità e uno sfruttamento sempre più diffusi.
Secondo la ricerca, da gennaio a novembre 2012 sono state 435 le persone arrestate per riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi.
Da quando è entrata in vigore la norma che istituisce il reato di caporalato (art. 603 bis del c.p. introdotto dal D.L. 13/08/2011), le persone denunciate o arrestate sono state solo 42. La metà degli arresti è al centro-nord: un dato importante, che evidenzia una estensione capillare di illegalità e sfruttamento, diffusi in misura sempre maggiore in alcune zone considerate economicamente più floride, come il Piemonte, la Lombardia, la provincia di Bolzano, l’Emilia Romagna e la Toscana (guarda la mappa completa), contrariamente all’immaginario comune, che lega questo triste fenomeno al sud Italia.
Secondo i dati Istat, in agricoltura l’occupazione sommersa nel caso dei lavoratori dipendenti è pari al 43%, per un totale di circa 400.000 persone. Di queste, circa 100.000, prevalentemente straniere, sarebbero costrette a subire varie forme di ricatto lavorativo, in situazioni che vedono emergere un legame sempre più forte tra il crimine di stampo mafioso e gran parte dell’economia del settore primario. Il giro d’affari delle Agromafie si aggira tra i 12 e i 17 miliardi di euro l’anno, circa il 10% dei guadagni della criminalità mafiosa, come quantificato dalla Commissione Antimafia, e, per quanto riguarda solo il caporalato, sottrae allo Stato circa 420 milioni di euro l’anno in termini di evasione contributiva.
Per quanto riguarda i lavoratori, il salario medio percepito si attesta tra i 25 e i 30 euro giornalieri, per 10-12 ore di lavoro. Il caporalato, oltre a togliere ai lavoratori circa il 50% della retribuzione prevista dai contratti di settore, li costringe a subire diverse “tasse” giornaliere: 5 euro per il trasporto sul luogo di lavoro, 3,50 per un panino, 1,50 per una bottiglia d’acqua.
Il settore agricolo vede lo sviluppo di diversi reati, quali gravi sofisticazioni alimentari, sottrazione e furto dei documenti, contratti di lavoro inevasi, estorsioni, infiltrazioni nella gestione dei consorzi. Solo la contraffazione è cresciuta negli ultimi dieci anni del 128%, per un valore di 60 miliardi di prodotti che ogni anno vengono commercializzati nel mondo come falso Made in Italy, e, secondo quanto scritto nel rapporto da Maurizio De Lucia, magistrato della Direzione nazionale antimafia, “le inchieste analizzate in quest’ultimo anno, svolte in particolare dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, hanno disvelato l’esistenza di un sistema di gestione dei grandi mercati agricoli nazionali pesantemente influenzati dalle organizzazioni mafiose”.
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