A giudicare dagli articoli e dal ritmo con cui vengono pubblicati, il quotidiano Il Tempo sembra aver ingaggiato una battaglia contro i cittadini rom presenti a Roma. Non è solo la frequenza con cui vengono scritti che sembra suggerire un’attenzione particolare del quotidiano rispetto all’argomento: i toni usati propongono al lettore una polarizzazione italiani-rom, dove questi ultimi sono identificati come coloro per i quali noi paghiamo ingenti somme di denaro. Lo scrivevamo a maggio, analizzando gli articoli pubblicati dal quotidiano romano “dedicati” alla minoranza rom e sinta presente nella Capitale (l’articolo qui).
Ad oggi, la situazione non è cambiata. Il Tempo sembra voler continuare a portare avanti una “sistematica campagna per diffondere un’immagine indistintamente negativa sulle comunità rom e sinte a Roma”, come scrive l’associazione 21 Luglio nella lettera indirizzata al direttore del quotidiano. Nella lettera, l’associazione chiede le motivazioni di questo continuo attacco mediatico, ricordando inoltre i numeri della presenza effettiva dei rom e sottolineando come la vera emergenza sia rappresentata dalla “discriminazione cumulativa che subiscono i minori rom e le loro famiglie in Italia”.
Sosteniamo l’iniziativa dell’associazione 21 Luglio, e segnaliamo la lettera inviata al direttore de Il Tempo.
Roma, 18 settembre 2014
Egregio Direttore Gian Marco Chiocci,
A partire dal mese di giugno 2014, e in particolare per tutto il mese di agosto, il quotidiano da Lei diretto si è reso artefice di una sistematica campagna di presunte inchieste giornalistiche con target le comunità rom e sinte presenti nella Capitale. In 3 mesi abbiamo assistito alla pubblicazione di 28 articoli, molti dei quali certificati da un apposito bollino “inchiesta”, nei quali si può rilevare un unico leitmotiv: diffondere e alimentare un’immagine indistintamente negativa e fortemente stigmatizzante di rom e sinti.
«La Capitale degli zingari», «Così i rom assediano la Capitale», «Quaranta nomadi assediano il quartiere», «Termini ancora regno delle zingare», «Sparatorie, furti e risse. Così i nomadi ringraziano»: sono solo alcuni dei titoli passati in rassegna nel corso dei mesi estivi. Lessico di guerra, generalizzazioni, continuo ed esclusivo accostamento a condotte antisociali, questi sono invece gli ingredienti scelti dai giornalisti de Il Tempo per preparare le loro “inchieste” e parlare direttamente alla pancia dei loro lettori, rispolverando uno dei più radicati stereotipi, quello dello “zingaro delinquente” in tutte le sue declinazioni. Anche dal punto di vista deontologico paiono ravvisarsi violazioni dei principi della Carta di Roma, visto il continuo ricorso a terminologia inappropriata (“nomadi”) e/o dispregiativa (“zingari”, “zingarelle”) e la continua insistenza sulla connotazione etnica di determinate condotte antisociali.
La “realtà” descritta nelle pagine de Il Tempo risulta parziale, dipinge una città sotto assedio da parte di una minoranza di cui il 50% sono bambini, e produce una stigmatizzazione indistinta e generalizzata in grado di fomentare e consolidare un clima di ostilità e di allarmismo sociale tra il pubblico dei lettori. La situazione di emergenza delineata dall’”inchiesta” non viene del resto supportata dai dati, in quanto a Roma la presenza di rom e sinti rappresenta appena lo 0,23% della popolazione totale – lo 0,07% se ci si riferisce ai soli abitanti degli insediamenti informali – numeri questi che da soli paiono ridimensionare le proporzioni dell’”invasione” paventata nelle pagine de Il Tempo.
L’autorevolezza dell’”inchiesta” risulta gravemente inficiata dall’assenza di pluralità nell’individuazione delle fonti: la voce dei rom, in particolare di coloro presso i quali sarebbero stati realizzati i “sopralluoghi” – protagonisti negativi e di fatto passivi dell’“approfondimento” giornalistico – non è in alcun caso contemplata né ascoltata dagli autori, negando così agli stessi qualunque possibilità di replica. Allo stesso modo, non viene approfondita la condizione sociale di tali comunità limitando fortemente la portata dell’“inchiesta” in termini di utilità ai fini dell’informazione, non essendo in grado, a causa di questi limiti, di fornire un quadro oggettivo della realtà.
Da una inchiesta giornalistica propriamente detta ci si aspetterebbe un approfondimento accurato su di una realtà complessa ed eterogenea, quale quella delle comunità rom e sinte che vivono negli insediamenti formali e informali della Capitale. Una realtà molto spesso caratterizzata da indigenza, quotidiana discriminazione e violazioni dei diritti umani, che difficilmente riesce ad arrivare sulle pagine dei giornali, se non filtrata attraverso la lente del pregiudizio e dello stereotipo.
Effettivamente i dati su rom e sinti parlano di un’emergenza; non, tuttavia, quella riguardante l’assedio profilato da inchieste come quelle realizzate dal quotidiano da Lei diretto, ma l’emergenza rappresentata dalla discriminazione cumulativa che subiscono i minori rom e le loro famiglie in Italia:
un minore rom ha 60 volte la probabilità di un minore non rom di entrare nel sistema italiano di protezione dei minori;
circa 15.000 persone rom sono a rischio apolidia, ovvero prive di documenti nonostante risiedano permanentemente e spesso dalla nascita sul territorio;
nell’anno scolastico 2013/2014 gli alunni rom e sinti sono diminuiti, attestandosi a 11.481 iscritti, il numero più basso degli ultimi sei anni, mentre il 63% delle persone rom rispondenti a un sondaggio dell’UE del 2011 ha dichiarato di aver lasciato la scuola prima dei 16 anni (il 21% ha dichiarato di non aver mai iniziato un percorso scolastico);
il 66% delle persone rom intervistate nel 2011 in Italia per conto dell’UE ha dichiarato di essersi sentita discriminata a causa della sua etnia nel corso dell’anno precedente;
l’Italia è l’unico paese europeo che mantiene e gestisce un sistema abitativo parallelo e segregante riservato a soli rom: i c.d. “campi nomadi”;
in Europa le persone rom hanno un’aspettativa di vita mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione.
Non possiamo poi dimenticare che nel nostro Paese 4/5 dei rom vivono lontano dalla marginalità sociale dei “campi nomadi”, in abitazioni ordinarie, conducendo una regolare attività lavorativa.
Dare visibilità ai dati di cui sopra e descrivere la condizione di rom e sinti nella sua interezza non è un gesto di bontà ma un indice della volontà e capacità di produrre un’informazione di qualità in maniera professionale, responsabile e al servizio dei cittadini.
Cordiali saluti,
Associazione 21 luglio