Legambiente, in occasione di Rio+20, il summit internazionale sul clima in Brasile, diffonde un dossier dedicato ai cosiddetti “profughi ambientali”. Secondo Legambiente “è necessario cambiare l’attuale paradigma economico ponendo al centro l’affermazione dei diritti umani e della natura”. L’analisi effettuata evidenzia come lo spostamento delle popolazioni, come risultato di cambiamenti ambientali, non sia un fenomeno nuovo. “Nella storia umana, le persone si sono sempre spostate come conseguenza di modificazioni dell’ambiente circostante che rendevano difficile se non impossibile continuare a vivere nelle proprie case. A differenza del passato, però, la modificazione dell’ambiente per opera dell’uomo è così rapida e la magnitudo degli impatti così alta, da superare notevolmente ogni previsione, lasciandoci impreparati nell’affrontarla”.
Nel dossier, infatti, si analizza il fatto che “gli effetti del riscaldamento globale, come desertificazione, siccità, scioglimento dei ghiacciai e crescita del livello del mare o eventi climatici estremi come inondazioni e uragani, sono da tempo una drammatica realtà in molti Paesi nel mondo. Intere popolazioni sono vittime dei cambiamenti climatici e molte persone sono costrette a migrare, abbandonando i propri territori”. Dunque, uragani, tsunami, terremoti o alluvioni, ogni anno inducono 6 milioni di “profughi ambientali”, ovvero persone costrette ad abbandonare le proprie case e i luoghi dove sono nati e cresciuti a causa di eventi climatici estremi: queste sono le stime del dossier di Legambiente. Nel 2011, sono stati 302 gli eventi catastrofici che hanno colpito circa 206 milioni di persone (164 milioni in più rispetto al 2010) e causato danni economici pari a 380 miliardi di dollari. Il dossier si concentra sull’analisi del rapporto tra cambiamenti climatici, migrazioni e sicurezza globale, analizzando la situazione del Nord Africa, delle tensioni politiche tra Bangladesh e India e dell’urbanizzazione (una delle conseguenze dei cambiamenti climatici, infatti, è la “migrazione momentanea o permanente” delle persone dalle campagne alle città, fenomeno che ha molte ripercussioni). Legambiente poi, analizza alcuni casi specifici come quelli dei profughi ambientali delle piccole isole del Pacifico e dell’Alaska. Il dossier, nella sua parte centrale, dedica uno spazio anche alle definizioni e alle raccomandazioni. Legambiente mostra, infatti, come termini e concetti come “migranti ambientali”, “migrazioni indotte dai cambiamenti climatici”, “rifugiati ecologici o ambientali”, “migranti forzati dall’ambiente”, hanno trovato molto spazio nella letteratura, ma non una definizione chiara. La ragione principale di questa mancanza, secondo Legambiente, è legata al fatto che è difficile isolare il fattore ambientale da altre cause delle migrazioni. Il “fattore ambientale”, infatti, va a interagire con fattori di ordine socioeconomico, politico e culturale con le scelte soggettive delle persone.
Legambiente evidenzia che, nonostante la portata mondiale del fenomeno, ancora oggi, manca un corpus legislativo specifico che vada a tutelare i diritti dei migranti ambientali: “per far si che gli stati e le istituzioni riescano a proteggere i diritti dei migranti ambientali, è prima di tutto necessario riconoscere lo status giuridico di coloro che sono forzati a spostarsi a causa di disastri ambientali e cambiamenti climatici”.
Pertanto, è fondamentale, conclude l’associazione, che “le agende politiche internazionali mettano questo tema al centro dei loro dibattiti politici. Ed è fondamentale che tutti gli stati si impegnino chiaramente ed in modo vincolante per la riduzione dei gas serra. E che la comunità internazionale riconosca formalmente la difficile situazione dei migranti climatici”.
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