Le sue parole sono “insindacabili” e la sua condotta “non perseguibile”. E’ questa la decisione presa dalla Giunta per le elezioni e le immunità del Senato a proposito di quanto affermato il 13 luglio 2013 dal vicepresidente di Palazzo Madama, il leghista Roberto Calderoli, durante un comizio a Treviglio. “Quando vedo la Kyenge non posso non pensare a un orango“, aveva dichiarato Calderoli, riferendosi all’allora ministra per l’Integrazione Cecile Kyenge. “Un’affermazione assolutamente scioccante” secondo l’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti Umani. Il Financial Times invitò l’Italia a “liberarsi dei suoi vergognosi politici razzisti”. La procura di Bergamo chiese per il senatore giudizio immediato, accusandolo di diffamazione aggravata dalla discriminazione. Ma, di fronte alla relazione di Vito Crimi del Movimento 5 Stelle, che chiedeva alla Giunta di dare il via libera al tribunale di Bergamo nel procedimento contro il senatore, la reazione è stata pressoché unanime: secondo la maggioranza – i deputati di Forza Italia, Ncd, Lega, Autonomie, Pd – il senatore Calderoli “non è perseguibile”, in base al primo comma dell’articolo 68 della Costituzione, per cui “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
“Avevo proposto, come relatore, che si procedesse, non sussistendo alcun nesso funzionale tra le dichiarazioni del senatore Calderoli e l’attività politica” commenta Crimi. La maggioranza dei membri della giunta si è espressa diversamente. Durante la discussione Claudio Moscardelli del Pd ha sostenuto che “le accuse relative alle incitazioni all’odio razziale risultano infondate, visto anche il contesto politico nel quale le frasi in questione sono state pronunciate e la configurazione del movimento della Lega, nel cui ambito operano anche diverse persone di colore”. Lo stesso aspetto è stato sottolineato da Carlo Giovanardi (Ncd): “La Lega ha nel proprio ambito sindaci e amministratori locali di colore, e conseguentemente l’accusa di razzismo è del tutto priva di fondamento”. Secondo il capogruppo Pd in Giunta, Giuseppe Cucca, “spesso nella satira si paragonano persone ad animali, senza che tali circostanze diano luogo a fattispecie criminose. Le parole pronunciate da Calderoli vanno valutate nell’ambito di un particolare contesto di critica politica”, mentre il rappresentante di Forza Italia in Giunta Lucio Malan chiama in causa l’articolo 21 della Costituzione in merito alla libertà di espressione: “Calderoli nell’ambito di un comizio politico ha svolto delle critiche rispetto agli indirizzi politici per le immigrazioni seguiti dal ministro Kyenge, effettuando altresì talune battute a scopo satirico. [..] Il magistrato non ha tenuto conto che un politico ha diritto di fare battute umoristiche, atteso che queste rientrano nel diritto di manifestazione del proprio pensiero di cui all’articolo 21 della Costituzione”.
Quando Cécile Kyenge ricoprì il ruolo di ministra fu colpita da insulti e offese molto gravi, tutte aventi per obiettivo le sue origini congolesi e la sua pelle nera. Fabio Rainieri, ex parlamentare leghista e vicepresidente dell’assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, è stato condannato a un anno e tre mesi e a un risarcimento di 150mila euro per aver pubblicato su Facebook una foto di Cecile Kyenge con il volto di una scimmia. L’accusa era di diffamazione aggravata da discriminazione razziale, la stessa avanzata nei confronti di Calderoli. Evidentemente, però, se un senatore definisce una rappresentante politica un “orango” si tratta di satira, anzi addirittura di “critica politica”, secondo la difesa compatta, unita e trasversale della Giunta. Solo il Movimento 5 Stelle – esclusa Serenella Fucksia – e le senatrici Pd Doris Lo Moro e Stefania Pezzopane hanno votato a favore del procedimento penale a carico di Calderoli. “Ho ritenuto – ha affermato Lo Moro – che tutte le valutazioni offerte dai colleghi dovessero esser valutate da un giudice, che potrebbe anche decidere che è vero che la satira usa spesso espressioni colorite ma che, come a me sembra, in questo caso la satira c’entri assai poco”. Le fa eco Micaela Campana, deputata e responsabile immigrazione del Partito Democratico, secondo la quale “la decisione della giunta ci deve far riflettere sulla caduta del linguaggio politico. Quello che è successo al Senato non è stato un semplice passaggio procedurale nei confronti di un senatore, ma una scelta culturale“. E se la deputata Campana parla di “scelta culturale”, la ex ministra, ora europarlamentare, Kyenge si chiede “com’è possibile che non ci si soffermi sui danni culturali di questi episodi”.
Forse proprio queste polemiche – e non una precisa e doverosa scelta politica e culturale – hanno portato il Partito Democratico a far sapere che probabilmente ribalterà la decisione, votando a favore del procedimento penale in Aula dove, come previsto dal regolamento, la questione verrà affrontata entro il mese di marzo.
La conferma del parere della Giunta da parte dell’Aula si tradurrebbe infatti in una vera e propria legittimazione istituzionale del razzismo: non esattamente quanto ci si attenderebbe dai membri di uno dei rami del Parlamento.
Qui il testo della decisione della giunta: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=00902247&part=doc_dc&parse=no&aj=no