È stato presentato qualche giorno fa a Roma, con una conferenza stampa tenutasi presso il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, il quarto Rapporto “Calciatori sotto tiro”, a cura dell’Associazione Italiana Calciatori, che evidenzia i principali casi di intimidazione e violenza nei confronti di calciatori professionisti e dilettanti nel corso della stagione sportiva 2016/17. Obiettivo dello studio AIC è quello di svolgere un’indagine approfondita sulla quantità e sulla tipologia di intimidazioni, offese e minacce che hanno per oggetto i giocatori di calcio, tanto a livello professionistico quanto dilettantistico. Essere “Calciatori sotto tiro”, significa essere minacciati, vittime di gesti di razzismo, di violenza, non solo per il colore della pelle o per la provenienza, ma per qualsiasi altro tipo di motivazione.
I dati presentati in questa quarta edizione, raccolti anche attraverso la consultazione quotidiana di articoli di stampa e su segnalazione dei propri referenti territoriali, mettono in luce come, nel 2016/17, siano calate le situazioni censite, così come sono calati, seppur di poco, i singoli episodi (114 per la stagione 2016/2017 contro i 117 analizzati nella stagione precedente). La Serie A, con oltre la metà dei casi (52%), è di gran lunga il campionato più “pericoloso” nel quale svolgere la professione di calciatore. Segue, con significativo distacco, la Lega Pro (15%) e la Serie B (9%). Preoccupante il dato del 5% dei casi registrati nei campionati giovanili, un dato ormai costantemente presente. Da un punto di vista “territoriale”, il Sud e le Isole rappresentano l’area più pericolosa, con il 40% dei casi. Il Lazio, tuttavia, resta la regione più pericolosa dove giocare a calcio (13%), seguita dalla Lombardia (12%) e dall’Abruzzo (10%) che, considerata la differenza di popolazione con le altre due regioni, costituisce la regione con il maggior tasso di rischio percentuale di questa edizione.
Uno dei dati più interessanti per noi, è quello relativo alle motivazioni degli atti. Il razzismo è la prima causa di minacce o intimidazioni (36%), seguita dalle motivazioni più “storiche” delle violenze ai danni dei calciatori: la sconfitta (31%) o il rischio retrocessione (7%).
I cori, gli striscioni e gli insulti di particolare gravità rappresentano, insieme, il 63% dei casi registrati. Mentre le aggressioni fisiche costituiscono ben il 17% degli episodi. Entrano nella classifica anche i social, nei quali si registra ormai il 5% delle minacce. Gli insulti, soprattutto di tipo razzista, accompagnati da gesti politicamente ben connotati e vietati dalla nostra Costituzione, sono arrivati ad alcuni calciatori anche da parte di loro colleghi. Il primato spetta ai cori razzisti – 1 caso su 3 – indirizzati principalmente nei confronti di calciatori “neri”, poco importa se italiani o di origini straniere, sia nei campionati professionisti che dilettantistici. L’episodio che ha destato maggiore clamore, lo ricordiamo, anche a livello internazionale, è stato quello che ha visto protagonista il calciatore del Pescara, Sulley Muntari (noi ne avevamo parlato qui), il 30 aprile 2017, durante la partita contro il Cagliari.
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