Tutto è iniziato giovedì 12 aprile, a Philadelphia. Una scena durata circa cinque minuti, immortalata in un video girato da una cliente all’interno di uno Starbucks, il colosso della caffetteria. Il video, diventato subito virale sui social (visto sinora da almeno dieci milioni di utenti), mostra dei poliziotti intenti a condurre fuori dal locale, ammanettati, due cittadini neri afroamericani che erano seduti ai tavoli.
I due giovani si trovavano lì per un appuntamento d’affari e la terza persona in questione non era ancora arrivata. Mentre i due attendevano, uno di loro ha chiesto di poter utilizzare la toilette, senza nel frattempo ordinare. A questo punto il direttore del locale si è irritato, spazientendosi e chiamando la polizia. Ecco che entrano in scena gli avventori dello Starbucks intenti a filmare la scena a dir poco surreale con i telefonini: gli agenti arrivano e discutono con i due clienti e, a un certo punto, spostano le sedie, mostrando ai due giovani la via d’uscita. E poi a un tratto, senza che si capisca bene il perché, scatta il fermo vero e proprio, con tanto di manette. Alcuni testimoni sostengono che altre persone non paganti, pochi minuti prima, avessero ricevuto un trattamento completamente diverso. Una volta portati nel posto di polizia, i due sarebbero stati rilasciati dopo otto ore perché il procuratore distrettuale non avrebbe trovato la prova di alcun reato.
La polizia, attraverso il commissario Richard Ross (afroamericano anche lui, sottolineano alcuni organi di stampa, vedi ad esempio qui e qui, a mò di discolpa verso le accuse di razzismo), difende il suo operato chiarendo che gli agenti «non hanno sbagliato assolutamente nulla». I dipendenti di Starbucks hanno chiamato il 911 per segnalare il rifiuto di lasciare il locale da parte di due clienti. I poliziotti hanno chiesto loro tre volte «di lasciare il luogo educatamente perché gli veniva chiesto di andarsene dai dipendenti». Al rifiuto, sono scattate le manette. Il commissario aggiunge: “Come uomo afroamericano sono consapevole del pregiudizio implicito. Siamo impegnati in una politica equa e imparziale e tutto ciò che non vi rientra non sarà tollerato in questo dipartimento”.
Le ricostruzioni fatte dal Washington Post e da altri quotidiani online di Philadelphia, cosi come i filmati riprodotti dalla Cnn e il video sui social, hanno avuto l’effetto di scatenare un’ondata di proteste da parte delle associazioni per la difesa dei diritti civili e di tanta gente comune, che hanno accusato Starbucks di razzismo e di discriminazione. Ed è subito partito l’hashtag #BoycottStarbucks. Nel frattempo, i membri di Black Lives Matter Pennsylvania e quelli della Black and Brown Workers Collective, sabato 14 aprile, hanno manifestato in segno di protesta davanti alla caffetteria.
Il Ceo dell’azienda, Kevin Johnson, si è scusato personalmente, definendo l’episodio “riprovevole”: “Faremo di tutto perché nei nostri locali episodi del genere non avvengano mai più”. Sulla vicenda è intervenuto anche il sindaco di Philadelphia, Jim Kenney, sostenendo che le scuse di Starbucks “non sono sufficienti”.
Dopo le accuse di pregiudizio e discriminazione razzista da parte dell’opinione pubblica e tutte le manifestazioni davanti a diversi locali della catena che si sono succedute in questi giorni, Starbucks annuncia che chiuderà tutti i suoi locali negli Usa (oltre 8mila) il 29 maggio prossimo. Per quel giorno, tutti i 175 mila dipendenti frequenteranno un corso su come prevenire le discriminazioni e il razzismo nei punti vendita della società. Tale ultima mossa è stata certamente pensata per attutire i colpi della pubblicità negativa che Starbucks ha subito negli ultimi giorni. La decisione di rimuovere il dirigente della società che ha chiamato la Polizia va a rafforzare questa “pulizia” d’immagine che la catena tenta di fare. La società ha persino risposto all’obiezione del dirigente rimosso, il quale lamentava di aver fatto solo il proprio dovere, con un comunicato: “I nostri negozi sono nati per essere delle comunità, dove si entra anche solo per accedere alla rete wifi e così lavorare al computer o scambiarsi messaggi sulle chat, senza essere per forza costretti a consumare. E’ da sempre lo spirito con cui abbiamo concepito la nostra attività”.
Una buona pratica, certamente, questa adottata dalla multinazionale. C’è da chiedersi se nell’America trumpista di oggi una giornata di formazione all’antirazzismo sia sufficiente a sradicare razzismo e pregiudizi che stanno ritornando sinistramente troppo “di moda”.