Castelnuovo di Porto. Il secondo C.A.R.A. più grande d’Italia. Ce n’è voluto del tempo perché tornasse sotto i riflettori. Oggi, eccolo qui in prima pagina. Entro il 31 gennaio questo grande centro verrà svuotato e chiuso definitivamente. E circolano notizie informali sulla destinazione dei migranti che fomentano, ovviamente, nei piccoli centri abitati. Si vocifera che i primi bus siano stati diretti in Campania e Basilicata. Altri parlano di destinazione Piemonte, Marche e Molise. Ma non vi è alcuna comunicazione ufficiale che dia conto di tutto questo.
La decisione della chiusura, presa in modo del tutto repentino, è del Ministro dell’Interno («Mi ero impegnato a chiudere le megastrutture dell’accoglienza, dove ci sono sprechi e reati, come a Bagnoli, a Castelnuovo di Porto, a Mineo. E lo stiamo facendo», ha dichiarato a «Radio Anch’io» su Radio1 Rai).
E da ieri sono in corso già i primi trasferimenti dei richiedenti asilo che vi erano ospitati. Sono ben 550 i migranti colpiti da questa decisione che sta facendo discutere tutta l’Italia. Di questi, ben 300 (14 sono i minori) saranno trasferiti, senza alcun preavviso, verso destinazioni ignote. Altri (soprattutto i titolari di protezione umanitaria, circa 150) resteranno per strada.
Le polemiche che si stanno susseguendo in queste ultime ore si stanno concentrando sulle modalità messe in atto per adempiere a questo “svuotamento”. «Siamo dispiaciuti e preoccupati. Chiediamo che non vengano trattati come bestiame», ha detto il parroco della vicina chiesa di Santa Lucia. «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» hanno affermato, citando il vangelo di Luca, i frati di Assisi in un tweet indirizzato ai 2 vicepremier e al premier Conte. Il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini dice di aver appreso della chiusura dagli organi di stampa: “Non siamo stati avvisati ufficialmente né dal prefetto né dal ministero degli Interni – afferma -. Noi per primi abbiamo detto che il Cara andava superato, non siamo qui a difendere i grandi centri, ma non accettiamo questo tipo di modalità che non tiene conto delle persone. La scelta non è stata concertata con l’ente locale, noi avevamo fatto anche richiesta per lo Sprar e per un’accoglienza in piccoli numeri”. Mentre numerosi esponenti dei partiti di centro sinistra hanno stigmatizzato procedure portate avanti «senza adeguato preavviso, separando donne, uomini e bambini, secondo una modalità che ricorda i lager nazisti» (vedi ad esempio il post di denuncia su Facebook del deputato Roberto Morassut il quale ha chiesto conto anche in Parlamento su quanto accaduto fra i fischi e gli insulti dei parlamentari della Lega Nord). Sconcerto e indignazione sono stati espressi anche in un comunicato anche dal Tavolo Asilo Nazionale.
Ieri sera si è svolta una manifestazione di solidarietà nei confronti dei migranti e a protestare, insieme ai sindacati, sono stati anche i lavoratori della cooperativa (circa 120 persone) che gestisce il centro, preoccupati perché rischiano il posto di lavoro (oggi c’è stato un sit-in sotto il ministero dello Sviluppo economico, ndr).
Questa mattina sono ripresi i trasferimenti, mentre la deputata di Leu, Rossella Muroni, ha tentato di bloccare uno dei pullman di migranti. Un gesto simbolico immortalato da una foto diffusa su Twitter. Poco dopo ha dichiarato: “Ho chiesto solo di sapere la destinazione delle persone: da quanto ci è stato detto alla cooperativa è stata fatta solo una suddivisione numerica, ma qui ci sono anche casi vulnerabili e famiglie. Non voglio discutere la legittimità dei trasferimenti – spiega – voglio che siano fatti da paese civile, nel rispetto delle persone. Su ogni pullman che parte ci sono delle storie, che vanno rispettate e tenute in considerazione”.
Oggi, a quanto si apprende, sono partiti altri 75 migranti, dopo i 30 partiti ieri. Il ministro dell’Interno, in una diretta Facebook, ha rassicurato il popolo dei social: «Tutti gli ospiti che erano dentro con diritto saranno trasferiti in altre strutture. Chi ha diritto non perderà nulla semplicemente verrà trasferito in altre bellissime strutture. Noi non mettiamo sulla strada nessuno, però se sei qui a chiedere asilo politico, non puoi pretendere di andare a Cortina (…) La pacchia è finita».
Il Cara di Castelnuovo, aperto nel maggio 2008, collocato nella zona industriale, a 30 chilometri da Roma e a 7 chilometri dal centro abitato più vicino (Capena), negli spazi di un ex centro polifunzionale del Dipartimento della Protezione Civile, è un enorme complesso di cemento recintato, circondato da un’area aperta priva di servizi. Noi l’abbiamo visitato il 20 giugno 2016 insieme alla campagna LasciateCIEntrare e ne abbiamo parlato nel nostro Dossier Il Mondo di dentro. La gestione del centro, inizialmente affidata alla Croce Rossa (2008-2010), è passata all’Ati Gepsa-Acuarinto-Synergasia (2010-2013). Oggi è gestito dalla cooperativa Auxilium, che ha ottenuto l’affidamento nel 2014. Secondo quanto era previsto dal Piano di accoglienza del Ministero dell’interno, il Cara era destinato a divenire uno dei 4 Hub italiani adibiti a ospitare le persone richiedenti protezione internazionale disponibili ad aderire al programma di relocation, fino alla loro partenza per il paese di destinazione (programma che come sappiamo ha funzionato poco e male).
Il Cara presentato come un “modello di integrazione” dalla stampa mainstream di questi giorni, andava chiuso, non buttando le persone in mezzo in una strada dall’oggi al domani, ma offrendo loro un’accoglienza più dignitosa in strutture più piccole. Sono l’espulsione di centinaia di persone dal sistema di accoglienza prevista a seguito dell’entrata in vigore della legge 132/2018 e le modalità disumane di trasferimento coatto delle persone (o non-persone, a questo punto) a dover essere messe in discussione. Adulti impiegati sul territorio, minori iscritti nelle scuole locali, donne vittime di tratta, famiglie: nessuna considerazione per le persone, che pure hanno un nome ed un volto.
Il prossimo centro nell’obiettivo del ministro dell’Interno dovrebbe essere quello di Mineo, in provincia di Catania, da cui già lo scorso dicembre sono state espulse circa 170 persone. E poi sarà la volta delle strutture di Bologna, Crotone, Bari e Borgo Mezzanone. Questi centri ospitano attualmente circa 6000 cittadini stranieri che in parte saranno trasferiti altrove. Ma una gran parte di loro, come è successo a Castelnuovo, rischierà di ritrovarsi in mezzo ad una strada.