Esattamente una settimana fa, vi abbiamo parlato di due sentenze che confermavano la natura discriminatoria dei bandi indetti da alcuni comuni per l’erogazione delle risorse da destinare a misure urgenti di solidarietà alimentare, sotto forma di buoni spesa, ai sensi dell’OCDPC n. 658 del 29 marzo 2020, per l’emergenza Coronavirus (ne abbiamo parlato qui). A distanza di pochi giorni, giungono altre due sentenze che vanno nella stessa direzione. La prima, quella pronunciata dal Tribunale di Brescia, n. 1559 del 28 aprile 2020, e la seconda, di oggi, del Tribunale di Ferrara, RG n. 862/2020 (disponibili qui).
I due ricorsi antidiscriminazione sono stati entrambi promossi dall’Asgi, insieme ad altre realtà locali (nel caso di Bonate Sopra, con Fondazione Guido Piccini onlus; a Ferrara con Associazione Culturale Umanità, Altro diritto e Cgil, Cisl e Uil), ed hanno ad oggetto due delibere comunali, dichiarate dai giudici “discriminatorie” in ragione delle condizioni escludenti in esse previste per l’accesso ai cosiddetti “buoni spesa”.
Nel ricorso depositato contro la delibera n. 33 del 6/4/2020 emanata dal comune di Bonate Sopra, le associazioni hanno contestato la parte in cui tra i criteri di accesso al beneficio per gli stranieri non comunitari, compare quello della titolarità del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 9 TU immigrazione, “anziché dei soli requisiti relativi alla condizione di disagio economico e alla domiciliazione nel territorio comunale”. Secondo le associazioni in questo modo “sono stati esclusi dal sussidio tutti i cittadini stranieri domiciliati nel Comune che non siano titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (che verosimilmente si aggirano sulle 200 persone)”. Secondo il giudice di Brescia si tratta di una esclusione «dal diritto all’alimentazione che costituisce il presupposto per poter condurre un’esistenza minimamente dignitosa e la base dello stesso diritto alla vita e alla salute, quindi che appartiene a quel nucleo insopprimibile di diritti fondamentali che spettano necessariamente a tutte le persone». E «non possono, quindi essere poste condizioni, quale la tipologia del permesso di soggiorno». Motivazione che riprende un altro provvedimento preso dal Tribunale di Roma (ne abbiamo parlato qui).
Con decreto inaudita altera parte, il giudice bresciano ha emesso il provvedimento cautelare ritenuto più idoneo a rimuovere gli effetti discriminatori e quindi tale “da porre i soggetti discriminati nella condizione in cui si sarebbero trovati in assenza della discriminazione”.
Anche a Ferrara è stato depositato un ricorso cautelare, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., al fine di ottenere l’accertamento della natura discriminatoria della delibera GC-2020-113-Prot. Gen. N. PG-2020-37192 del 1 aprile 2020. In questo giudizio, le associazioni sono state accompagnate anche dall’intervento di più di 10 migranti che non hanno potuto beneficiare dei buoni. Il Comune di Ferrara, nel suo bando, ha stabilito di subordinare l’accesso allo strumento assistenziale da parte dello straniero non appartenente alla Unione Europea al possesso di un permesso di lungo soggiorno (come per Bonate Sopra, ndr) e di subordinare il contributo alla residenza anagrafica, “stabilendo una gradazione interna per la ripartizione delle risorse (prima gli italiani, poi i cittadini comunitari ed infine gli stranieri extracomunitari con permesso di lungo soggiorno)”. Secondo il giudice di Ferrara le fonti normative che “riconoscono il diritto alla assistenza sociale quale garanzia della dignità umana e di sostentamento minimo sono plurime, sia di carattere interno (artt. 2,3 e 38 della Carta Costituzionale), sia di carattere internazionale (richiamate ex art. 10, II comma della Costituzione, artt. 1,14 e 26 della CEDU) sia infine di tipo comunitario (art. 34 della Carta dei diritti dell’Unione Europea)”. Anche in questo caso è richiamato il provvedimento del Tribunale di Roma circa quel “nucleo irriducibile” di diritti fondamentali della persona che lo Stato deve riconoscere a tutti (come sancito dall’art. 2 del TUI3), indipendentemente dalle norme che regolano il soggiorno nello Stato. “La illogicità del provvedimento comunale e quindi la sua illegittimità per violazione della normativa delegante è, pertanto, ontologica- scrive il giudice -; ma integra anche la violazione degli artt. 2 e 415 415 TUI (quanto meno per i titolari di permesso di soggiorno della durata di almeno un anno), poiché vi è una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità che è, a mente dell’art. 43 TUI6, un fattore discriminante”.
E’ altrettanto interessante, in un altro passaggio, evidenziare come il giudice tenga a precisare che “i titolari di protezione internazionale, nazionale e richiedenti asilo poi sono equiparati ai cittadini in materia di assistenza sociale, ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. 251/20077, sicché la loro esclusione appare del tutto ingiustificata; i titolari di protezione umanitaria o di protezione per casi speciali hanno diritto alla parità di trattamento perché il relativo permesso di soggiorno ha durata non inferiore all’anno”.
In attesa dell’udienza di merito fissata per l’8 luglio, il giudice del Tribunale di Ferrara ha dunque accertato la natura discriminatoria della delibera della giunta leghista di Alan Fabbri. “La discriminazione – si legge nel dispositivo – non tocca solo gli stranieri, ma anche quegli italiani che a causa dell’emergenza Covid sono rimasti nel territorio comunale o hanno qui solo il domicilio”. “È evidente dalla lettura della Ordinanza della Protezione Civile n. 658/2020 – scrive il giudice – che il solo criterio contenuto nel provvedimento di determinazione sulle modalità di riconoscimento del beneficio assistenziale è la condizione economica del richiedente, ovvero lo stato di bisogno per soddisfare le necessità più urgenti con priorità per quelli non già assegnatari di sostegno pubblico”. E il diritto alla alimentazione è un “bisogno primario di ogni essere umano”.
Per questo, anche il tribunale di Ferrara ordina al Comune la “riformulazione delle linee di indirizzo (senza le predette clausole discriminatorie), consentendo la presentazione di nuove domande in un termine congruo e applicazione di una sanzione per ogni giorno di ritardo nell’adempimento del provvedimento giudiziale, con domanda subordinata di risarcimento del danno subito”.
Alla luce di tutte queste sentenze positive, le associazioni che hanno promosso i ricorsi invitano a sviluppare una riflessione condivisa di buon auspicio per la futura fase post pandemia. Potrebbe essere la fase in cui ri-pensare e ri-costruire un welfare differente di carattere universalistico, basato sui bisogni fondamentali ed effettivi delle persone, e non di certo sul tanto acclamato “radicamento territoriale” (locale o nazionale che sia), che va dall’odioso requisito della residenza, a quello della cittadinanza, passando attraverso il “prima gli italiani”.
Sarebbe bello pensare positivamente in questa prospettiva, prendendo quel briciolo di “buono” che il Covid-19 ci sta “trasmettendo” in termini di umanità e di inclusività.