Il cosiddetto Decreto Ristori ter (Decreto legge 23 novembre 2020, n. 154, recante “Misure finanziarie urgenti connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 291 del 23 novembre 2020) ha rinnovato i buoni spesa Covid19. Grazie a questa misura straordinaria introdotta dal Governo, i cittadini in difficoltà economica dovrebbero (usiamo il condizionale e più avanti vi spieghiamo il perché, ndr) ricevere dei contributi economici per poter acquistare alimenti, farmaci e beni di prima necessità, attraverso buoni spesa erogati direttamente dai Comuni italiani, per far fronte al periodo di emergenza. Tuttavia, ancora una volta, come in occasione della prima erogazione dei buoni spesa nel lockdown di marzo (ne abbiamo ampiamente parlato qui e qui), la maggioranza dei bandi presenta vecchi e nuovi criteri discriminatori nei confronti dei cittadini stranieri (ma anche italiani!) per l’accesso al beneficio.
All’art. 2, il citato decreto prevede “Misure urgenti di solidarietà alimentare”. La norma dispone che “1. Al fine di consentire ai comuni l’adozione di misure urgenti di solidarietà alimentare, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’interno un fondo di 400 milioni di euro nel 2020, da erogare a ciascun comune, entro 7 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sulla base degli Allegati 1 e 2 dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 658 del 29 marzo 2020. 2. Per l’attuazione del presente articolo i comuni applicano la disciplina di cui alla citata ordinanza n. 658 del 2020. 3. Le variazioni di bilancio riguardanti l’utilizzo delle risorse trasferite dal Bilancio dello Stato connesse all’emergenza COVID-2019 possono essere deliberate dagli enti locali sino al 31 dicembre 2020 con delibera della giunta”.
Anche in questo caso, la quota che spetta ad ogni Comune per l’intervento di solidarietà alimentare è fissata in base al numero di abitanti e all’indice di povertà. E soprattutto, la scelta della platea di famiglie beneficiarie, le modalità di assegnazione e le procedure per fare domanda vengono stabilite con ampia discrezionalità da ogni sindaco in collaborazione con il proprio ufficio servizi sociali.
La giurisprudenza ha evidenziato che “non si tratta di prestazioni assistenziali ordinarie, volte a sostenere semplicemente il reddito della popolazione, ma di prestazioni tese a soddisfare un bisogno primario quale è quello all’alimentazione, che costituisce il presupposto per un’esistenza dignitosa, nonché la base stessa per il diritto alla salute” (da ultimo questa interpretazione, oltre alle numerose ordinanze ottenute fra marzo e aprile, è stata confermata da una sentenza del TAR del Lazio, n. 11581 del 9 novembre 2020).
Eppure, in questi ultimi giorni, proprio in coincidenza con la proliferazione della pubblicazione dei bandi da parte di piccoli e grandi comuni, abbiamo riscontrato un’ampia eterogeneità nell’interpretazione e applicazione della norma, con la conseguenza immediata della riproduzione di numerose logiche discriminatorie. Proviamo a raccontarvi cosa sta succedendo attraverso qualche esempio pratico.
Il primo criterio discriminatorio che risalta immediatamente è quello che richiede nuovamente il possesso del requisito della residenza anagrafica nel comune di appartenenza. Ci sono comuni, come quello di Miglionico (MT), al quale Lunaria ha anche indirizzato una lettera insieme ad Asgi, che riserva i buoni spesa (oltre ai cittadini italiani residenti) a coloro “che sono cittadini extracomunitari in possesso di regolare permesso di soggiorno e residenti a Miglionico da almeno un anno”. Il comune di Napoli, invece li riserva “prioritariamente ai residenti nel territorio del Comune di Napoli”, aggiungendo questa volta (dopo la pronuncia del marzo scorso, ndr.) anche “i titolari di residenza di prossimità o richiedenti asilo o in attesa di protezione internazionale”, non ottemperando tuttavia in pieno alle ragioni esposte dal Tribunale. O ancora, vi sono bandi che non menzionano assolutamente il requisito della residenza nell’atto amministrativo, salvo poi richiederlo nel modulo di domanda (si veda a questo proposito ad esempio il bando del comune di Pavia).
Vi sono anche comuni “virtuosi”, come il comune di Isernia, che invece delibera che “destinatari del sostegno economico, sono i nuclei familiari residenti o stabilmente dimoranti nel Comune di Isernia alla data di presentazione della domanda, che dimostrino di essere particolarmente esposti agli effetti economici derivanti dalla emergenza epidemiologica da virus COVID-19 o, comunque, di versare in stato di bisogno”. Il comune di Colleferro (RM) concede i buoni spesa anche alle “persone senza fissa dimora che si trovano sul territorio comunale”. Lo fa anche il comune di Ciampino (RM), tuttavia prevedendo il requisito del permesso di soggiorno per i cittadini stranieri.
E un secondo criterio discriminatorio è senza dubbio proprio quello della richiesta della titolarità di un regolare permesso di soggiorno. Anche questa richiesta va in controtendenza a quanto stabilito in alcune ordinanze precedenti (si veda ad esempio il decreto inaudita altera parte del Tribunale di Roma, che aveva stabilito che sussiste il diritto, per i cittadini extra UE irregolarmente soggiornanti, a percepire i buoni spesa).
Passiamo ora alle “novità”.
Un terzo punto assai discutibile, ed in effetti discriminatorio, è quello che riguarda i tempi previsti per la presentazione della domanda. Quasi inspiegabilmente, ci ritroviamo bandi che danno accesso alla compilazione alle domande per soli 3-5 giorni ed altri che lasciano a disposizione dei cittadini un lasso di tempo leggermente più ragionevole (ma sempre fra i 10 e i 15 giorni massimo, come nel caso del comune di Sommalombardo (VA), aperto dal 2 al 13 dicembre o del comune di Venosa (PZ), aperto dal 10 al 18 dicembre, oppure il comune di Ginosa (TA) aperto dal 12 al 20 dicembre). Ma pur sempre a nostro avviso un tempo inadeguato e troppo ristretto (eppure il comune di Pineto, ad esempio, lascia aperto il bando dal 18 dicembre al 7 gennaio 2021 e quello di Como, dal 14 dicembre 2020 fino al 29 gennaio 2021). Essendo i buoni spesa una misura destinata a delle persone in estremo stato di bisogno, non è detto che riescano ad ottenere in tempo utile le informazioni necessarie per la presentazione della domanda, e soprattutto che abbiano dei mezzi adeguati per farlo. Oltretutto, la maggior parte dei bandi richiedono la presentazione dell’ISEE (come ad esempio il comune di Bari oppure quello di Piossasco (TO)), documento che è difficile ottenere in 5 giorni. E poi arriviamo anche ad un quarto criterio discriminante che riguarda proprio le modalità di presentazione della domanda che, per alcuni comuni, sono a dir poco escludenti: la presentazione della domanda a mezzo PEC o esclusivamente online (si vedano ad esempio il bando del comune di unione Rubicone e Mare (FC) e quello del comune di Firenze) limita di molto la platea di persone che vi potrebbe accedere, non avendo magari a disposizione un pc o una connessione, ancor meno una PEC o uno scanner. Inoltre, tenuto conto della normativa anti-covid, pur volendo chiedere un appuntamento presso un CAF per l’aiuto alla compilazione, non è assolutamente scontato che si possa ottenere un appuntamento in tempi celeri.
Infine, vi è un ultimo punto critico che riguarda proprio la netta disparità di trattamento fra cittadini residenti, e per questo “privilegiati” attraverso l’erogazione di buoni spesa (che consentono loro di scegliere cosa acquistare), e cittadini “di serie B”, ovvero coloro privi della residenza o del permesso di soggiorno, ai quali, alcuni comuni, destinano delle misure “residuali”, come ad esempio dei pacchi di viveri o somme differenti, magari in base a fondi altrettanto “residuali” (come si rileva nella risposta alla missiva inviata insieme ad Asgi, da parte del comune di Napoli, che “ha individuato due diverse misure di sostegno: 1) Bonus alimentare: per residenti nel Comune di Napoli anche titolari di residenza di prossimità, richiedenti asilo o cittadini stranieri con status equiparabile; 2) Misure alternative (pacchi alimentari o eventuali residui economici o nuove risorse): a tutti coloro che dimostreranno di essere dimoranti abituali nel territorio cittadino e/o che possano comprovarlo con altra attestazione escluso il certificato di residenza anagrafica e/o di prossimità)”. Oltre al fatto che alcuni comuni ammettono al beneficio chi aveva già ricevuto i buoni spesa in precedenza, e altri comuni che fanno l’esatto contrario, trattando in modo differente le priorità.
Insomma, il risultato è una grandissima confusione generata da queste difformità che non avrebbero dovuto esserci, visto che i comuni avrebbero dovuto rifarsi semplicemente alla vecchia ordinanza della Protezione Civile di marzo. E invece hanno dato il via libera a interpretazioni “fantasiose” e a criteri assurdi.
Certo, oltre all’ordinanza della Protezione Civile, avrebbero potuto tenere in considerazione anche le linee guida divulgate dall’Unar già in aprile, oltre che la lunga lista di pronunce giudiziarie. Ora ci ritroviamo con molti bandi già scaduti e con un altrettanto vasta moltitudine di persone che magari neanche ne sono venute a conoscenza.
Sono giorni che ci stiamo interrogando sulle ragioni che sono alla base di questa eterogenea discrezionalità e di come sia stato possibile arrivare sin qui. Si apre la strada nuovamente ad adire le vie giurisdizionali con altri ricorsi antidiscriminazione. Forse sarebbe opportuno e auspicabile che Anci e Unar tornassero a pronunciarsi rapidamente a riguardo.