Dopo i pasti a scuola è la volta dei buoni libro. Oggi in Veneto scadono i tempi per presentare la domanda per ottenere il contributo regionale per i testi scolastici. I buoni libro si ottengono se il reddito familiare dell’alunno è sotto una certa soglia e, per certificare lo stato del proprio reddito le famiglie devono presentare una dichiarazione ISEE e delle autocertificazioni. Se non sono stranieri. Una mini-legge regionale (2 articoli), approvata nel febbraio 2018, stabilisce infatti che le persone non nate in Italia che richiedono contributi di welfare devono presentare anche certificazioni relative alle proprietà nel Paese di origine. Si tratta di una legge che stabilisce un meccanismo uguale a quello utilizzato nel regolamento comunale che esclude gli alunni stranieri di Lodi dal contributo per la mensa. La legge rimanda a sua volta a un decreto presidenziale del 1999.
Perché si tratta di una norma pensata per escludere? Varie ragioni: quando quei certificati si possono fare, vanno fatti nei comuni di origine e questo comporta un notevole esborso e molto tempo. I calcoli parlano di 400 euro, probabilmente di più del contributo regionale per i libri. In molti casi poi i Paesi di origine degli immigrati non producono certificazioni equiparabili a quelle richieste dalla nostra Pubblica Amministrazione. E chi stabilisce che il certificato, se non identico per contenuti a quelli italiani, risponda alle esigenze della legge regionale? I Comuni che erogano i buoni? Con che criterio? La norma regionale si rivela per quel che è: una forma di discriminazione amministrativa.
Basterebbe questo, ma c’è dell’altro. Le famiglie straniere che hanno presentato la domanda non sapevano della nuova norma (fino all’anno scorso bastava la dichiarazione sostitutiva) e, al momento di informarsi su come presentarla hanno scoperto la novità. Anche i Comuni hanno scoperto la norma con ritardo. Questo ha determinato l’impossibilità di ottenere i certificati in tempo anche per coloro che vengono da Paesi con una burocrazia relativamente efficiente. C’è poi il tema della ricchezza: possedere una casa di proprietà in Senegal o in Bangladesh non equivale all’essere benestanti. Si possono guadagnare mille euro al mese in una famiglia di 4 persone e allo stesso tempo possedere una casa di famiglia del valore di poche migliaia di euro. La norma, insomma, non è pensata per portare ordine nell’erogazione delle prestazioni.
L’Asgi rileva poi, parlando del regolamento di Lodi, come il decreto 159/2013, quello che regola l’ISEE regoli l’accesso alle prestazioni agevolate garantite dallo Stato sociale (rimborsi, buoni, accesso alla casa, eccetera). Nel decreto si parla di dichiarazione sostitutiva (DSU in burocratese) e nulla più e non si fanno distinzioni tra strenieri e italiani. Ora, quel decreto è una fonte di diritto statale e, dunque, viene prima, sopra, dei regolamenti comunali.
L’intento della legge regionale e dei regolamenti comunali che ne sono seguiti non è dunque quello di fare chiarezza e pulizia – come se davvero ci fosse un “problema truffe” dei cittadini stranieri ai sistemi di welfare locale. L’intento è quello di introdurre ostacoli agli stranieri e di agitare queste norme a una parte dell’elettorato. Le leggi in questione non generano risparmi considerevoli, non rendono migliore il sistema di welfare ma, semplicemente discriminano.
Il caso Lodi, rilanciato da Piazza Pulita su La 7, ha messo sotto i riflettori una questione che in tanti denunciamo da tempo: c’è una produzione di norme locali che viola i principi costituzionali ed è usata come strumento di propaganda politica. Per fortuna il servizio su Lodi ha generato una reazione positiva: in migliaia hanno partecipato alla raccolta fondi e contribuito a pagare la mensa a chi non se la può pagare. E per fortuna la corte costituzionale o i tribunali amministrativi tendono a bocciare queste norme inique (qui facciamo degli esempi).