“Di solito il caporale è bianco ma ultimamente per aggirare la legge appena approvata usa dei caporali neri che hanno la funzione di veri e propri amministratori delegati. Portano i lavoratori alle terre, li controllano e, nel caso servisse, si fanno arrestare“. L’ha affermato solo due giorni fa Francesca Pirrelli, procuratore reggente a Foggia nel corso dell’evento ‘Uomini o caporali‘. È passato, di fatto, già circa un anno dall’approvazione della legge n.199/2016 che cerca di dare una definizione al “caporalato”, partendo dalle condizioni di estremo sfruttamento dei lavoratori. Se l’intento del legislatore, con la legge n. 199, è stato quello di dotarsi di strumenti penali e procedurali per contrastare il caporalato per via giudiziaria, il fenomeno, nella realtà dei fatti, è più complesso e la sua introduzione nel codice penale non è sufficiente a descriverlo, né soprattutto a contrastarlo. Volendo andare oltre gli entusiasmi iniziali, quasi tutto è rimasto fermo all’avvio. Anzi, dalle dichiarazioni della Pirrelli, dovremmo amaramente constatare che, prima ancora che chi deve applicare la legge si sia messo in moto, i caporali abbiano già trovato modalità per raggirarla.
E’ di ieri la notizia di quattro nuovi arresti per “caporalato”, eseguiti dai carabinieri di Brindisi, sulla base di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip su richiesta della procura: agli indagati viene contestato il “concorso in intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravati”. L’inchiesta è partita dalla denuncia di una donna che ha raccontato agli investigatori di essere stata picchiata per aver chiesto la regolarizzazione del contratto.
L’indagine è stata condotta anche tramite videoriprese fatte lungo gli itinerari e presso un’azienda agricola del Barese dove venivano impiegate delle braccianti. La manodopera proveniva prevalentemente dalle province di Brindisi e Taranto e sarebbe stata sfruttata, nei campi di ciliegie e nelle vigne, con minacce e intimidazioni, subite per via dello stato di bisogno e di necessità delle lavoratrici. Le donne sarebbero state costrette a prestazioni straordinarie rispetto a quelle previste dal contratto (avrebbero lavorato per più di 8 ore al giorno, a fronte delle 6 ore e mezzo previste), a fronte di retribuzioni palesemente sproporzionate e all’obbligo di pagare giornalmente somme di denaro ai presunti caporali per l’attività di intermediazione (sarebbero stati scalati dalla paga anche 8 euro per il trasporto. Invece della paga prevista di 55 euro giornaliere, ne percepivano 38). Le intercettazioni ambientali sono state fondamentali: una donna sarebbe stata persino invitata a scindere i rapporti con l’agenzia interinale per trattare esclusivamente con i caporali (“Con l’agenzia lavori un mese e con noi lavori sei mesi, otto mesi”. “Ok – risponde la bracciante – quindi vado all’agenzia e tolgo il contratto”).
Fatto ancor più rilevante è che in questo caso si parla di sfruttamento di manodopera soprattutto al femminile: “Alle femmine pizza e mazzate ci vogliono, altrimenti non imparano”, e “Femmine, mule e capre tutte con la stessa testa”: questa la filosofia di base del caporale che le sfruttava. In manette finiscono Michelangelo Veccari, la compagna Valentina Filomeno, Grazia Ricci e Maria Rosa Putzu. Secondo quanto accertato le donne, almeno 15 (tutte italiane tranne due cittadine straniere) venivano prelevate da Villa Castelli (Brindisi) e da altri Comuni delle province di Brindisi e Taranto per essere portate nel Barese.
E sebbene la normativa applicabile sia quella introdotta nel 2011, trattandosi di fatti avvenuti nel 2015, il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina commenta: «La legge contro il caporalato sta dando risultati concreti a difesa dei diritti dei lavoratori. Gli arresti dimostrano che questo provvedimento era necessario soprattutto in un settore delicato come quello agricolo. Non possiamo mai abbassare la guardia, lo dobbiamo anche alle tantissime imprese agricole che ogni giorno operano nella legalità. Serve un impegno costante che coinvolga tutti. Dobbiamo proseguire in questa direzione migliorando la collaborazione tra le istituzioni per aumentare i controlli, vigilare affinché vengano tutelati i diritti dei lavoratori stagionali e verificare il rispetto dei contratti».
Naturalmente il caporalato non si sconfigge solo attraverso la mera applicazione della norma. Sarebbe quanto mai necessario e fondamentale che a contrastarlo fosse un fronte comune tra istituzioni, imprese dell’intera filiera, e soprattutto territori.