Torna il fuoco ma evidentemente Boreano non interessa proprio a nessuno. O forse è un “argomento scomodo” da trattare. E non sono bastati i due servizi fatti da “Striscia la notizia” (uno del novembre 2015 e l’altro del febbraio scorso) a far accendere i riflettori su questo luogo dove l’informale e l’illegale la fanno da padroni. Il cosiddetto “ghetto”, noto (o forse no?) alla cronaca perché ospita alcune decine di braccianti africani nel periodo invernale, fino ad arrivare ad un migliaio circa in quello estivo, rappresenta uno dei tanti luoghi della disumanità. Questo, come gli altri ghetti sparsi nelle campagne al confine fra Puglia e Basilicata, è ormai un assembramento non più occasionale, ma strutturale e funzionale ad una agricoltura sempre più proiettata verso i mercati “globali” e del profitto. In Puglia, se ne contano circa quaranta, veri e propri “hub” della mano d’opera “illegale”, sacche di manovalanza a bassissimo costo immediatamente disponibile, e incastonati in un sistema che rende questi lavoratori, non più produttori di ricchezza, ma di marginalità. Lavoratori senza cittadinanza, a scadenza, senza domicilio o residenza, senza anagrafe e senza giustizia, figli di una economia sotterranea che pone al suo centro non il diritto del lavoro ma il diritto ad essere schiavi.
In questi giorni, con l’arrivo della primavera, così come ogni primavera, i ghetti si animano al risveglio dei cicli della natura, che coincidono con quelli dell’agricoltura. Nelle aree fertili, si iniziano a rivoltare le zolle, a sminuzzarle e a preparare il terreno alla piantumazione. Anche il ghetto di Boreano si sta pian piano animando di braccianti che inseguono la fatica dei campi. Ad accoglierli, i pochi rimasti durante tutto l’inverno a guardia del posto letto e delle poche masserizie.
Soltanto pochi giorni fa, il 5 maggio, ci rallegravamo per una buona notizia che giungeva dalle campagne del Vulture- Alto Bradano. Sotto un temporale estivo, più di 50 braccianti africani del ghetto di Boreano hanno partecipato ad una assemblea, all’interno del comune di Venosa, per denunciare a gran voce lo sfruttamento lavorativo e il degrado abitativo, e per chiedere reddito, diritti e dignità, minacciando anche di presentarsi in sciopero permanente sotto il Palazzo della Regione Basilicata. Quest’assemblea è stata il risultato del lavoro di alcuni membri del sindacato USB, che da tempo stanno seguendo questo difficile processo di “sindacalizzazione” dei braccianti agricoli della zona. Un primo grande esperimento che prova a tenere insieme lavoratori precari, sottopagati, sfruttati e maltrattati che vivono ai margini della società, e che potrebbe avere un effetto dirompente allargandosi a tutti i ghetti e le campagne d’Italia, sindacalizzando numerosi braccianti africani. E nonostante questa importante presa di coscienza, nulla è cambiato in questi anni e le richieste dei braccianti, sono sempre le stesse da un decennio a questa parte: abitazioni nei centri abitati, residenza per poter rinnovare il permesso di soggiorno, trasporti dalle e per le campagne, lotta al caporalato. Un mantra ciclico, quanto il lavoro dei campi.
Ma, proprio nelle ore successive all’assemblea, durante la notte tra il 6 e 7 maggio, un incendio, le cui cause sono ancora da accertare, ha ridotto letteralmente in polvere tutte le baracche dei braccianti di Boreano, trasformando il ghetto in un inferno. Quel poco che i braccianti trasportano con sé, in questa loro “transumanza agricola” che passa anche per la Piana di Gioia Tauro, il Metapontino, l’Agro Pontino e Nardò, nel giro di un’ora, è stato divorato dalle fiamme. Il ghetto è tante scatole sapientemente costruite con materiale povero, di riciclo, è fatto di cartone, teli di plastica, assi di legno, di bombole di gas e di tanto altro materiale altamente incendiabile e tossico. Boreano ha così preso fuoco per la seconda volta in pochi mesi (l’altro incendio doloso risale al 15 gennaio).
E intanto, la Regione Basilicata tace. Più o meno. Si limita a commentare, a lanciare proclami senza soluzioni di fatto (ne avevamo parlato anche qui). Pietro Simonetti, del Coordinamento Politiche migranti della Regione Basilicata, ha lapidariamente commentato: «Si tratta di un altro fatto che evidenzia il tentativo della criminalità organizzata operante nell’area appulo, lucana e calabrese, che gestisce il mercato delle braccia dei migranti e non solo, di intimorire quanti si battono per la legalità, il diritto al lavoro, un giusto salario e la dignità delle persone». Il tutto «a pochi giorni dall’apertura anticipata del campo di Venosa e dello sgombero e demolizione delle case diroccate e delle baracche di Boreano e Le Mattinelle».
In realtà, bisognerebbe smettere di rappresentare questa situazione come un ‘dramma stagionale’, e diffondere la consapevolezza del fatto che la condizione in cui ogni anno vivono centinaia di migranti in questo fazzoletto di terra di Basilicata non è un ‘problema’ dei soli addetti ai lavori, ma una questione che interessa tutti e, soprattutto, le istituzioni regionali e territoriali. Ovvero: la panacea dei mali non sarà l’istituzione del “campo di Venosa”, né tanto meno lo sgombero di Boreano e l’abbattimento delle case diroccate (recando, danni anche impensabili anche al paesaggio e all’architettura), quanto piuttosto la creazione di azioni volte ad un’accoglienza diffusa e non “emergenziale” dei lavoratori stagionali e la pratica di politiche inclusive.
Intanto, i lavoratori hanno deciso di incontrare questa mattina gli esponenti della Regione Basilicata e di proclamare per giovedì 12 maggio, ore 15, una manifestazione davanti al Palazzo della Regione a Potenza.
Paola Andrisani
Gervasio Ungolo (Osservatorio migranti Basilicata)