Come ogni anno (quest’anno con un po’ di ritardo), il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha reso nota la ripartizione di 60 milioni di euro, relativi all’anno 2020, assegnati al “Fondo nazionale per il sostegno per l’accesso alle abitazioni in locazione” (con Decreto 6 maggio 2020, pubblicato sulla G.U. n. 138 del 30 maggio 2020).
Il Fondo, istituito dall’art. 11 della legge n. 431/1998 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), è destinato alla concessione di contributi integrativi a favore dei cittadini titolari di contratti di affitto, appartenenti alle fasce di reddito più basse per il pagamento dei canoni di locazione. Ogni anno la Legge di Bilancio stabilisce a quanto ammonta la dotazione, che viene ripartita prima tra le Regioni, e poi tra i Comuni, e permette di garantire ai cittadini quello che viene comunemente chiamato “bonus affitto”.
Queste risorse sono state assegnate alle Regioni, nelle misure indicate nella Tabella allegata al Decreto, che a loro volta le hanno ripartite – con procedura di urgenza – tra i Comuni entro 30 giorni dall’entrata in vigore della Legge 24 aprile 2020, n. 27, di conversione del Dl. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”). I Comuni, a loro volta, sono stati chiamati emanare dei bandi per la formazione delle graduatorie.
La scorsa settimana, ci siamo imbattuti nella Delibera di Giunta della Regione Basilicata (D.G.R. n. 359 del 27.05.2020) proprio relativa al Fondo affitto, ed abbiamo notato che presenta dei requisiti discriminatori nei confronti dei cittadini stranieri.
Infatti, fra i requisiti richiesti per poter partecipare al bando, “per il cittadino extracomunitario è richiesta la residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella Regione Basilicata”. Ovviamente, i 131 comuni lucani hanno pedissequamente seguito le indicazioni riportate negli allegati della Regione, riproponendo la discriminazione in ciascun singolo bando (a titolo di esempio si veda qui quello del Comune di Matera).
Lunaria ha segnalato il caso alla sezione Asgi di Basilicata. Insieme abbiamo scritto al Presidente della Giunta regionale per chiedere di “modificare immediatamente i requisiti di accesso, in modo da garantire la piena partecipazione a tutti gli stranieri extra UE regolarmente soggiornanti e a dare ampia informazione sulla intervenuta modifica e procedere alla riapertura dei termini di partecipazione al bando”.
Il fatto è che questi requisiti sono stati dichiarati incostituzionali già 2 anni fa.
La faccenda è vecchia e noiosa quanto l’odiosa discriminazione. Dopo una serie di sentenze intervenute negli anni, si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 166/2018, sollecitata dalla Corte d’appello di Milano sezione lavoro che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 13, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
La pronuncia ha fatto seguito a decisioni analoghe della Corte Costituzionale che avevano dichiarato incostituzionali norme della Regione Liguria sull’accesso alle case popolari (sent. 106/18) e della Regione Veneto sull’accesso agli asili nido (sent. 107/18).
In particolare, la sentenza richiama alcune pronunce precedenti (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015, n. 222, n. 172, n. 133, n. 40 e n. 2 del 2013, n. 329 e n. 40 del 2011 e n. 187 del 2010) e ribadisce il principio secondo cui i limiti delle prestazioni di assistenza devono sempre rispondere a criteri di ragionevolezza, indipendentemente dalla natura delle stesse.
In questo caso specifico, ciò che contestiamo alla Regione Basilicata è che non vi sarebbe alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza, prevista dall’art. 11, comma 13, d.l. n. 112 del 2008, e la situazione di disagio economico che il contributo in questione mira ad alleviare. Non sarebbe, infatti, ragionevole presumere, in assoluto, che i cittadini stranieri che vivono in Italia da meno di dieci anni, e nella Regione Basilicata da meno di cinque, soffrano una condizione di disagio minore rispetto a chi vi risieda da più anni o sia cittadino europeo.
Come ha avuto modo di affermare la Corte Costituzionale, infatti, il requisito di 10 anni di residenza nello Stato “attinge gli estremi della irrazionalità intrinseca”, perché coincide con quello necessario per ottenere la cittadinanza; ma anche quello dei 5 anni, è irragionevole non essendovi correlazione “tra il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari della persona che versi in condizioni di povertà e sia insediata nel territorio regionale e la lunga protrazione nel tempo di tale radicamento territoriale”. E’ dunque, secondo la Corte, un requisito incostituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost.: si tratta infatti, in entrambi i casi, di requisiti che non rispondono né alle prescrizioni del diritto dell’Unione relative ai soggiornanti di lungo periodo (direttiva 2003/109, concernente il principio di parità di trattamento in materia di prestazioni di assistenza sociale e di accesso all’abitazione dei cittadini di Paesi terzi non membri dell’UE in possesso del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti) né ai canoni di ragionevolezza. Oltretutto, il limite dei cinque anni di residenza nella stessa regione è «sproporzionato», perché il cittadino straniero, più soggetto alla mobilità infra-regionale, cambiando regione finirebbe, di fatto, con il perdere i propri diritti.
Quello che possiamo auspicare, oltre alla immediata correzione del bando, è che le Regioni ed i Comuni che ancora mantengono questo criterio discriminatorio, prevedano, in futuro, altre tipologie di “indicatori di radicamento”, nel pieno rispetto del principio di «non discriminazione».
Il fatto che le Regioni e gli Enti locali, nell’esercizio della propria autonomia, possano riconoscere, garantire o limitare l’esercizio di determinati diritti, fa sì che si riproducano numerose differenze (e discriminazioni) tra le politiche di welfare sul territorio, anche in materie magari non direttamente incidenti sui diritti fondamentali della persona, ma sulla garanzia di molti diritti sociali: dalla casa, all’assistenza sociale e sociosanitaria.
L’amara constatazione, ancora una volta, è che la condizione giuridica del cittadino straniero risulta differenziata, non solo in base al titolo di soggiorno posseduto, ma anche a seconda del luogo in cui risiede.