Una “classe ghetto” per i genitori del Consiglio di istituto. Una soluzione per “evitare l’abbandono scolastico” secondo il preside.
Succede a Bologna, alla scuola media “Besta”, dove da settembre è nata la classe sperimentale IA: ventidue ragazzi e ragazze, tra gli 11 i 15 anni, tra cui nessun italiano.
Il preside Emilio Porcaro dice di aver pensato a questa soluzione per “dare una classe ai ragazzi appena arrivati in Italia, altrimenti perdevano l’anno”. Ad agosto infatti “sono arrivate diciotto famiglie che, con il ricongiungimento familiare, avevano appena riavuto i figli, la maggior parla poco la nostra lingua. Stavano cercando di iscriverli in diverse scuole e alle Besta c’era lo spazio, ma le classi erano già formate. Quindi ho chiamato l’Ufficio scolastico e ho chiesto l’autorizzazione per un’ulteriore classe. Ne è nato un piano che va nella direzione di aiutare quei ragazzi”.
Il preside pensa a una “classe aperta, dove i ragazzi imparano l’italiano e appena sono pronti possono essere poi inseriti nella classe di riferimento per età”.
Di posizione nettamente opposta il Consiglio di istituto, che ha inviato una lettera al Coordinamento dei Consigli di istituto. “La separazione degli stranieri dagli italiani ha il risultato immediato di dividere – si legge nella lettera – Gli alunni stranieri non parleranno in aula con altri italiani e avranno come unico riferimento italiano solo l’insegnante, annullando tutte le potenzialità dell’educazione tra pari”.
Alla questione pratica dell’apprendimento si associa anche l’aspetto della formazione più generale: “Una scelta del genere contrasta con i principi di inclusione e di confronto a cui la scuola si deve ispirare. Educheremo i nostri figli in modo da far capire loro che la separazione insegna meglio dell’integrazione?”, si chiedono i genitori.
Anche il fatto che la classe è vista come una soluzione temporale, portato come un elemento positivo dai sostenitori dell’iniziativa, viene criticato dai suoi detrattori, che lamentano la mancanza di punti di riferimento per gli studenti.
A dare l’autorizzazione per la classe è stata la dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale di Bologna Maria Luisa Martinez: “Il mio via libera era riferito solo all’avvio di una nuova classe – spiega – scopro ora che gli alunni sono tutti stranieri”. Ad ogni modo, la dirigente non condanna l’iniziativa: “La classe dovrebbe durare qualche mese. Una volta imparato l’italiano, i ragazzi possono essere inseriti nelle altre aule. Se le cose stanno così mi sembra una buona idea: potrebbe essere utile prima insegnare l’italiano all’alunno appena arrivato, poi portarlo in una classe vera e propria”.
La posizione della dirigente è condivisa da Francesca Ruocco della Flc-Cgil, che parla di un progetto “con dei lati positivi, che se ben fatto è meritorio”.
Intanto, monta la polemica politica.
L’assessore comunale al Welfare Amelia Frascaroli (Sel), sottolineando la necessità che la decisione venga presa in modo collegiale, avverte che “non va bollata subito la classe delle Besta, scuola nota per le buone esperienze di integrazione”.
Ma pareri decisamente contrari arrivano proprio da altri membri di Sel: il consigliere Mirco Pieralisi parla di “arretramento pedagogico e culturale”, chiedendosi perchè, una volta ottenuta una classe in più, la scuola non abbia intrapreso un normale inserimento nelle sei classi invece che formarne una di soli stranieri.
Il deputato Giovanni Paglia ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Istruzione per chiedere di “cancellare quello che sembra un pericoloso precedente”, mentre la deputata Pd e vice presidente della Commissione Infanzia e Adolescenza Sandra Zampa giudica la classe “un assurdo”.
Parere positivo invece dalla Lega Nord, rappresentata dalla consigliera del Comune di Bologna Lucia Borgonzoni: una posizione che non stupisce, visto che nel 2008 proprio il Carroccio aveva presentato la mozione – approvata dalla Camera tra molte polemiche – sulle “classi ponte”, che lo stesso Roberto Cota aveva definito una “discriminazione transitoria positiva”. Tema rilanciato dalla Lega lo scorso settembre con una proposta di legge.
La posizione del Consiglio di istituto è condivisa dall’Assemblea genitori e insegnanti delle scuole di Bologna e provincia, secondo cui la decisione “doveva coinvolgere tutta la comunità scolastica e, in mancanza di risposte adeguate e risorse, tutta la città, sino alla Regione”.
Secondo l’Assemblea, non occorre una sperimentazione, ma “risorse per l’alfabetizzazione, da anni falcidiate”.
Tutti sembrano concordare sulla buona fede del preside e dei docenti, compreso il consigliere Pieralisi (“Non metto in dubbio la buona fede e la competenza di preside e insegnanti”) e il Consiglio di istituto (“Pensiamo che chi ha lavorato a questo progetto sia in buona fede e abbia le competenze necessarie”).
Quello che è venuto a mancare sembra un intervento più strutturale, basato sul lungo termine e sulla progettazione piuttosto che sull’emergenzialità. Un problema che sembra caratterizzare sempre di più le tematiche di carattere sociale, comprese quelle legate all’immigrazione.
Dal punto di vista formativo legato all’apprendimento della lingua, sulla questione si erano già espressi gli esperti dell’Accademia della Crusca, di Sig (Società italiana di glottologia), Sli (Società di linguistica italiana), Aitla (Associazione italiana di linguistica applicata) e Giscel (Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica): commentando la mozione della Lega Nord, avevano sottolineato l’opportunità di continuare “ad immettere i bambini e gli adolescenti non-italofoni nelle classi normali”, indicando che dalle molte esperienze pregresse “è emerso che l’acquisizione di una seconda lingua è tanto più facile, rapida, completa quanto più giovane è l’età del soggetto apprendente e quanto più piena è l’immersione nella nuova realtà linguistica e culturale”.
La misura che, secondo gli esperti, doveva essere presa non andava nella direzione di “isolare” gli studenti, al contrario: dovrebbero essere forniti agli insegnanti “gli adeguati strumenti per affrontare il problema e ricorrere al “sostegno linguistico” per alunni”.
D’altra parte, è molto difficile che una discriminazione, per quanto provvisoria, possa essere positiva.