Sono giorni che se ne parla. Un cumulo di informazioni spesso confuse e contraddittorie, ma che soprattutto si prestano a diffondere facilmente il panico, da un lato, e dall’altro sono insufficienti e inadeguate per permettere di analizzare la situazione per quella che è.
È il 18 luglio, quando in Basilicata si ha notizia di nuovi casi positivi al Covid 19. L’annuncio della stampa punta immediatamente il dito, con dovizia di particolari, contro 3 cittadini del Bangladesh facenti parte di un gruppo di 73 persone (tutte bengalesi, ndr) sbarcate l’11 luglio a Lampedusa e trasferite in Basilicata la notte del 15 luglio. Il gruppo di migranti è stato distribuito fra Potenza (una cinquantina fra ex Hotel Vittoria (10) e Ferrhotel (40)) e Matera (12 a Villa Signoriello, a Irsina). I migranti sono giunti in Basilicata con un risultato negativo al test sierologico effettuato dopo lo sbarco. Inoltre, in virtù dell’ordinanza numero 29 emanata lo scorso 10 luglio dal presidente della regione Vito Bardi, i migranti, appena giunti nelle strutture, sono stati messi in quarantena, isolati, in luoghi separati e controllati per evitare le uscite. Cosa che molti articoli di giornale non hanno precisato in modo chiaro.
Dopo la comparsa dei primi tre casi, sono stati effettuati i tamponi su tutti i cittadini bengalesi trasferiti il 15 luglio e sugli operatori delle strutture di accoglienza coinvolte: è quindi emersa la positività per altre 23 persone su Potenza, comunque già preventivamente collocate in quarantena.
Sempre in base a quanto riportato, i test effettuati sul personale del centro di accoglienza sono risultati tutti negativi per quel che riguarda le due strutture di Potenza.
Ad Irsina invece, 10 dei 12 migranti arrivati sono risultati positivi. Dopo l’esito di tutti i tamponi fatti ad altri ospiti della struttura e agli operatori, è risultata positiva solo una donna che effettua le pulizie nel centro (i quotidiani precisano di nazionalità nigeriana, ndr). Agli ingressi dei centri, a Potenza, sono stati posti i mezzi dell’Esercito; a Irsina, un presidio della Protezione Civile e dei Carabinieri. Una presenza messa lì per “rassicurare” chi vive nei dintorni dei centri di accoglienza, ma anche per il resto della cittadinanza, proprio in virtù del diffuso senso di insicurezza e diffidenza nei confronti dei cittadini stranieri tout court, generato da questa pessima e pericolosa campagna di articoli di giornali dai contenuti poco chiari e spesso fuorvianti. I titoli dei quotidiani locali e nazionali hanno infatti abilmente giocato sulla contrapposizione fra la regione, fino a quel momento, “covid free”, il dato dei 3 nuovi contagi, oltretutto stranieri, precisando persino la nazionalità e l’esatta collocazione degli “infetti”, e il panico generato dal paventato rischio di nuovi “focolai” e “zone rosse”.
Le dichiarazioni dei politici locali hanno fatto il resto. Ovvero sollevare un polverone ed una polemica che avrebbe dovuto essere gestita con tutt’altre modalità. E questo al netto di una situazione seria e grave, quale quella di una nuova diffusione del contagio.
Il sindaco di Potenza, Mario Guarente (Lega) ha dichiarato subito dopo la comparsa dei primi casi di essere pronto «a fare delle barriere umane per evitare che entrino persone provenienti dalle zone rosse. Mandare persone da Bangladesh dall’India o dal Brasile da paesi in grande difficoltà è da folli. Ci dispiace che il ministro Lamorgese abbia deciso di adottare questa decisione scellerata». Gli ha fatto eco il nazionale il leader nazionale del suo partito: “Questo governo mette in pericolo l’Italia Italiani in quarantena per mesi, clandestini infetti liberi di sbarcare”. Il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi, invece, ha dichiarato: “Non vogliamo che tutti gli sforzi dei lucani di questi mesi, che ci hanno portato a essere la prima regione ‘Covid free’ d’Italia, siano vanificati da test sierologici evidentemente inefficaci. Bloccare spostamenti a rischio, monitorare la situazione, effettuare tamponi in tutte le zone a rischio e presidiare il territorio”. Invocando “vigilanza al massimo e tolleranza zero», Bardi ha rimarcato che “la priorità del governo deve essere quella di tutelare la salute, non di allargare le maglie senza garantire controlli adeguati. Bisogna dare alle Regioni strumenti necessari per tutelare le comunità locali”.
Questa vicenda ha mostrato quanto sia ancora complessa e delicata la gestione della pandemia. Ci sono delle responsabilità a monte di tutta la vicenda che andrebbero chiarite quanto prima, sebbene il Governo sia rimasto in un imbarazzante silenzio a riguardo. E anziché chiedere di bloccare gli arrivi dei migranti senza motivo, ci si sarebbe piuttosto dovuti indignare del fatto che manca ancora un’organizzazione precisa delle procedure di prevenzione e di sicurezza sanitaria da seguire in occasione degli sbarchi e dei trasferimenti nei centri di accoglienza. E che ci si affidi ad un test sierologico e non ad un tampone. E questo nell’interesse e nella tutela della salute collettiva. Ma la vicenda ci ha mostrato anche come siano ancora fragili gli equilibri e che si è alla costante ricerca di un capro espiatorio sul quale riversare tutte le frustrazioni relative ad un corto circuito istituzionale.
Parlare di “covid importato”, come se il “covid italiano” fosse migliore. Additare i migranti giunti in Basilicata come “untori” e renderli “colpevoli” di aver rotto il sogno della Basilicata “covid free”. Esporre loro (e gli operatori dei centri) anche a possibili ripercussioni sulla loro incolumità, visto il feroce attacco mediatico e l’esposizione pubblica subita. Quanto accaduto, al di là delle responsabilità istituzionali, ha messo a nudo, ancora una volta, le fragilità di un sistema di accoglienza che resta “straordinario”, come “straordinario” è ancora il momento che stiamo vivendo. Concordiamo, quindi, con Bardi che la salute sia un bene comune da tutelare: a prescindere dalla nazionalità di provenienza.