Un vademecum di cui si sentiva la necessità: è quello redatto da Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) a proposito dell’accesso dei cittadini stranieri alle prestazioni sociali. Quali sono i requisiti previsti dalla legge per accedere a ciascuna prestazione sociale? Quali le categorie di persone ammesse formalmente? Quale la normativa di riferimento? A questi e altri quesiti prova a rispondere Asgi, intervenendo in un’area in cui sono molti “i problemi aperti, vale a dire i casi nei quali il diritto ai benefici viene illegittimamente negato”. E proprio su un caso di violazione del diritto si è pronunciato il Tribunale di Bari, che in un’ordinanza del 20 dicembre ha condannato l’Inps e il Comune di Bari per comportamento discriminatorio. La posizione del tribunale si lega al ricorso presentato da una donna di origine egiziana, titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari, contro la decisione di Inps e Comune di non riconoscerle il diritto all’assegno di maternità (ai sensi dell’art. 74 d.lgs. 165/2001). Una decisione discriminatoria, come espresso dalla donna e dagli avvocati di Asgi dai quali è stata seguita; e come espresso dal Tribunale, secondo cui l’esclusione di una madre – anche se priva del permesso di soggiorno di lungo periodo – dalla possibilità di fruire dell’assegno di maternità è di fatto in contrasto con il principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale previsto dall’art. 12 Direttiva 98/2011 (direttiva recepita e poi entrata in vigore il 6 aprile 2014 con il d.lgs. n. 40 dd. 4 marzo 2014), secondo il quale “i lavoratori migranti beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne: … i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004”. Il regolamento CE 883/04, dal canto suo, comprende anche le prestazioni di competenza dei Comuni, quali l’assegno di maternità e il contributo per il nucleo familiare con almeno 3 figli minori. Vi rientrano, quindi, tutte le prestazioni di sicurezza sociale, contributive o a carico della fiscalità generale, ad eccezione di quelle la cui concessione è sottoposta ad una valutazione discrezionale da parte dell’ente che le eroga e non soltanto a requisiti di legge.
In particolare, nel caso di Bari, il giudice, richiamando la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte Costituzionale, ha riconosciuto che la normativa comunitaria deve trovare necessaria e immediata applicazione non solo da parte dei giudici nazionali, ma anche da parte della Pubblica Amministrazione nell’esercizio della sua attività.
Nel complesso il recepimento della direttiva 2011/98, avvenuto con il d.lgs. n. 40/2014, appariva già a suo tempo insoddisfacente, soprattutto con riferimento alle norme riguardanti il principio di parità di trattamento: proprio Asgi rilevava a suo tempo che, per ottemperare agli obblighi derivanti dalla direttiva, il decreto legislativo di recepimento avrebbe dovuto adeguare tutta una serie di normative nell’ambito del welfare contenenti clausole di esclusione dei lavoratori di Paesi terzi da determinate prestazioni di assistenza sociale (si pensi appunto all’assegno sociale, all’assegno INPS nuclei familiari numerosi, all’assegno di maternità comunale, alla carta acquisti). Non avendo provveduto a effettuare i cambiamenti necessari, l’Italia è quindi esposta al rischio di possibili contenziosi in sede giudiziaria, ove i ricorrenti potrebbero far valere il principio della diretta ed immediata applicazione del diritto UE e del suo primato su norme di diritto interno ad esso incompatibili. Proprio come è successo a Bari. Anche Cisl Bari e Anolf, in una nota congiunta, sottolineano come sia “sconcertante che molte amministrazioni comunali continuano a negare questo diritto respingendo le domande presentate dalle donne straniere interessate (…) Tra assegno di maternità (1694,45 euro nel 2016), bonus bebè (da un minimo di 2880 euro complessivi ad un massimo di 5760 euro), imminente arrivo del bonus mamma domani o premio alla nascita (800 euro a partire dal 7^ mese di gravidanza) e del bonus asilo nido (1000 euro annui), privare le donne straniere non comunitarie e le loro famiglie con regolare permesso di soggiorno residenti nei nostri comuni, lavoratori e lavoratrici onesti, di questi diritti (con un massimo ipotetico di perdita per la nascita di un figlio di 9.254,45 euro complessivi), significa registrare una vera e propria sconfitta culturale a favore del movimento molto nutrito degli ipocriti dell’integrazione”.