“Vi chiediamo di fare anche vostra la proposta di riqualificazione urbana di un immobile pubblico a scopo sociale“. La proposta, chiara e diretta, arriva dai migranti che da quasi un anno “stazionano” – come dichiarano loro stessi – nella tendopoli allestita nel capannone ex Set in via Brigata Regina, al quartiere Libertà di Bari. La scrivono in un appello diffuso oggi dal collettivo Rivoltiamo la precarietà, in cui ripercorrono le problematiche che hanno affrontato in questi ultimi due anni, a fronte di una totale incomunicabilità con le istituzioni. “Quando denunciamo questo stato di abbandono non è per ottenere assistenza o carità; bensì per vederci riconosciuto quanto previsto dalle convenzioni e dai trattati internazionali”, sottolineano le persone, tutte in possesso di documento di soggiorno per protezione umanitaria. Chiedono giustamente una soluzione reale al problema abitativo che da anni si trovano a dover fronteggiare: la tendopoli è stata la ‘risposta emergenziale’ fornita dal Comune di Bari a novembre 2014. “Non accettavamo più di dormire per strada dopo aver ricevuto i documenti nel Cara di Bari-Palese”, affermano i migranti. Ora, a distanza di circa un anno, la situazione è ancora drammatica: nessun percorso di inserimento lavorativo, nessun progetto di inclusione sociale e abitativa. Da circa un anno i migranti vivono in condizioni insostenibili, come denunciato più volte da loro stessi e da diverse associazioni, da ultima Emergency, che nelle parole della presidente Cecilia Strada ha definito la situazione “vergognosa”.
Della situazione affrontata dai rifugiati a Bari ne abbiamo parlato più volte, dopo averli incontrati durante la presentazione del Terzo Libro Bianco nel capoluogo pugliese, lo scorso dicembre. Già a febbraio 2014 raccontavamo l’occupazione della ex Casa del Rifugiato, uno stabile abbandonato di proprietà della Direzione Regionale per i Beni Culturali, e sistemato dai migranti stessi in maniera del tutto autonoma. L’intervento del Comune era arrivato dopo l’incendio divampato nella struttura, che l’aveva reso inagibile: un’ordinanza di sgombero firmata dal Comune e dalla Prefettura di Bari aveva trasferito le circa 150 persone all’interno dell’edificio ex-Set, dove il Comune aveva posizionato alcune tende, con tanto di stemma della Regione Puglia e bandiera dell’Unione Europea. Ma l’intervento delle istituzioni aveva solo peggiorato la situazione.
I migranti, da parte loro, non sono affatto privi di proposte: solo che manca completamente la controparte a cui presentarle. “L’ultimo incontro ufficiale col Comune e la Prefettura di Bari risale al 9 gennaio scorso”, scrivono. E va sottolineato che era stato ottenuto solo grazie a una manifestazione di protesta organizzata sotto la Prefettura. “Anche in quell’occasione, come nelle precedenti, abbiamo presentato e protocollato la proposta per il recupero col nostro lavoro di un immobile dismesso (ex ospedale o caserma, case sfitte o confiscate)”, sottolineano i migranti. Ma “la risposta del Comune e della Prefettura invece si è concretizzata con una decisione opposta, unilaterale ed imperativa: l’indizione di un bando di gara per la messa in opera di prefabbricati/container metallici utilizzando 1,6 milioni di euro governativi”.
Perché, se ci sono edifici comunali in disuso, se le persone hanno dei regolari documenti e sono quindi in regola con le normative nazionali, se sono queste stesse persone a portare delle possibili soluzioni e a volersi impegnare in prima persona per cambiare la situazione, il Comune decide di chiudere la porta a qualsiasi confronto o pratica alternativa rispetto a un modello che finora si è dimostrato fallimentare e anzi controproducente? Se lo chiedono anche i migranti, definendo la risposta delle istituzioni “un’ulteriore scelta ghettizzante che continuerà a creare marginalizzazione. Si parla tanto di superare e farla finita con i cosiddetti ‘campi’ nelle periferie delle città, ed invece si ripropongono soluzioni senza risolvere la questione con scelte inclusive”. Non solo: misure di questo tipo, lungi dall’essere pratiche di buona accoglienza, creano piuttosto cortocircuiti pericolosi, fatti di business difficilmente controllabili, sperpero di denaro pubblico, discriminazioni, dissidi tra italiani e migranti. Situazioni che, peraltro, si rivelano facilmente strumentalizzabili da chi vuole diffondere una propaganda xenofoba e di conflitto sociale. “Non abbiamo lasciato l’Africa, i nostri studi e le nostre famiglie per stazionare in un ghetto, per perdere la nostra dignità in una tendopoli. Siamo stati costretti a farlo. Conosciamo i nostri doveri, ma vogliamo che ci sia riconosciuto un minimo di rispetto, di diritti basilari“, affermano i migranti, che sottolineano: “Non stiamo pretendendo una casa ex novo, semplicemente vogliamo essere messi nelle condizioni di poter vivere e lavorare dignitosamente”.
Nell’appello, i rifugiati chiedeno di essere sostenenuti nel convincere le Istituzioni competenti a cambiare decisione. Un’adesione doverosa, per dare non solo una risposta abitativa concreta e giusta ai rifugiati di Bari, ma anche per indicare un modello di buona prassi dell’accoglienza che potrebbe essere preso in considerazione a livello nazionale.
Pubblichiamo di seguito l’appello dei migranti dell’ex Set, invitando all’adesione
I prefabbricati/container non sono la soluzione alla tendopoli.
Siamo le decine di persone, immigrati, che ormai da quasi un anno stazionano all’interno della tendopoli allestita nel capannone ex set in via Brigata Regina al quartiere Libertà di Bari. Era fine novembre 2014 quando il Comune, in accordo con la Prefettura, ha deciso di sgomberarci dall’ex convento di Santa Chiara, che avevamo occupato qualche mese prima poiché non accettavamo più di dormire per strada dopo aver ricevuto i documenti nel Cara di Bari-Palese. Per convincerci ci avevano rassicurato che per i nuclei familiari e le persone malate si sarebbe immediatamente riaperta Villa Roth, un immobile pubblico in disuso, che invece in fretta e furia è stato reso disponibile solo qualche giorno fa; mentre per tutti gli altri entro due mesi avremmo ricevuto un’abitazione migliore.
E’ noto che le condizioni di vita all’interno della tendopoli sono diventate sempre più insostenibili e peggiori. Come alloggio il capannone è sicuramente inagibile. Sono venuti giù calcinacci dal soffitto. D’inverno è freddo e sempre più umido; e d’estate è stato impossibile dormirci dentro a causa del calore che ha toccato anche i 50 gradi. Ormai è sempre più infestato da piccioni ed altri volatili che defecano ovunque. Siamo costretti a dormire ammassati in otto/dieci persone in tende di 20 metri quadri, col rischio del contagio di malattie. Al momento gli abitanti del quartiere ed alcune associazioni ci hanno dato una mano. Per noi hanno promosso campagne di solidarietà. Una prima pulizia interna al capannone è stata effettuata solo qualche giorno fa dopo dieci mesi di permanenza.
Quando denunciamo questo stato di abbandono non è per ottenere assistenza o carità; bensì per vederci riconosciuto quanto previsto dalle convenzioni e dai trattati internazionali. Non abbiamo lasciato l’Africa, i nostri studi e le nostre famiglie per stazionare in un ghetto, per perdere la nostra dignità in una tendopoli. Siamo stati costretti a farlo. Conosciamo i nostri doveri, ma vogliamo che ci sia riconosciuto un minimo di rispetto, di diritti basilari, che appartengono alle persone in quanto tali a prescindere dalla nazionalità, dal credo religioso, dal colore delle pelle. Non stiamo pretendendo una casa ex novo, semplicemente vogliamo essere messi nelle condizioni di poter vivere e lavorare dignitosamente.
L’ultimo incontro ufficiale col Comune e la Prefettura di Bari risale al 9 gennaio scorso. Anche in quell’occasione, come nelle precedenti, abbiamo presentato e protocollato la proposta per il recupero col nostro lavoro di un immobile dismesso (ex ospedale o caserma, case sfitte o confiscate) per adibirlo ad una casa. La risposta del Comune e della Prefettura invece si è concretizzata con una decisione opposta, unilaterale ed imperativa: l’indizione di un bando di gara per la messa in opera di prefabbricati/container metallici utilizzando 1,6 milioni di euro governativi. Per noi un’ulteriore scelta ghettizzante che continuerà a creare marginalizzazione, come è successo con le tende all’ex set. C’è sempre stata la piena disponibilità al confronto. Ma tutto questo non è servito a niente. Si parla tanto di superare e farla finita con i cosiddetti ‘campi’ nelle periferie delle città, ed invece si ripropongono soluzioni senza risolvere la questione con scelte inclusive.
Da mesi leggiamo che questa tipologia di politiche sull’immigrazione non ha fatto altro che creare business, clientele varie e sperpero di denaro, invece di garantire un’accoglienza dignitosa. Gli amministratori locali, in quanto persone di buon senso, dovrebbero sapere che i ‘campi per etnie’ non fanno altro che discriminare ed esasperare sempre più gli animi tra italiani e migranti. E come ormai succede in tutta Italia favorisce strumentalizzazioni e dichiarazioni xenofobe e razziste. Non solo: risale a qualche mese fa una sentenza del Tribunale di Roma con la quale si condanna il Comune della capitale per discriminazione etnica per aver allestito un ‘villaggio attrezzato’, cioè un campo ghetto, come opzione (sottolinea la sentenza) ‘priva di caratteri tipici di un’azione positiva’.
Semplicemente vogliamo riprenderci la nostra dignità. Per questo vi chiediamo di sostenerci nel convincere le Istituzioni competenti a cambiare decisione. Invece di allestire prefabbricati metallici vogliamo che i soldi disponibili siano utilizzati per una soluzione abitativa diversa. Sottoscrivendo questo appello vi chiediamo di fare anche vostra la proposta di riqualificazione urbana di un immobile pubblico a scopo sociale. Grazie!
L’assemblea dell’ex Set – Bari
Basta con i campi ghetto!
Le prime firme:
Cecilia Strada, presidente di Emergency
Gabriella Guido, portavoce campagna LasciateCIEntrare
Fortunata Dell’Orzo, giornalista
Marco Filippetti, Communia Roma
Dario Mr Bogo Divella, musicista, Bari
Ela Francone, fotografa freelance, Bari
Gianpietro Occhiofino, giornalista, Bari
Diritti a Sud, Nardò (Le)
Fuori dal Ghetto, Venosa (Pz)
Meticcia Aps, Lecce
Osservatorio Migranti Basilicata
Gruppo Emergency Bari
Solidaria, Bari
Lunaria, Roma
per sottoscrivere l’appello scrivi a:
solidariassociazione@gmail.com