L’affaire Bardonecchia non accenna a placarsi. Si erano appena spente le polemiche relative ai soccorsi prestati da parte di un cittadino francese, che il 10 marzo aveva salvato una donna incinta nigeriana insieme al resto della sua famiglia, proprio al confine francese (noi ne abbiamo parlato qui) e sulla morte di Beauty, anche lei nigeriana, al sesto mese di gravidanza e con un tumore, respinta senza pietà il 9 febbraio con il marito, alla frontiera italiana, mentre cercava di raggiungere Oltralpe la sorella su un pullman.
Ed ecco che la nuova frontiera, quella del valico del Col de l’échelle, tra Italia e Francia, che congiunge la Val di Susa in Piemonte con la Val della Clarée nel dipartimento delle Hautes-Alpes, torna alla ribalta. A distanza di pochi giorni, si torna a parlare di quei migranti che senza le attrezzature necessarie, con giacche leggere, scarpe da ginnastica o anche a piedi scalzi, si incamminano di notte, sfidando il buio, il freddo, la neve, a 1.700 metri di altezza e fino ai 20 grandi sotto lo zero.
Sono oramai giorni che la stampa nazionale (i media francesi sembrano dedicare una scarsa attenzione alla vicenda), insieme alla Tv, raccontano i particolari di questa singolare vicenda che vede coinvolti persino i governi italiano e francese. Il fatto è che la solidarietà, espressa e prestata via terra o via mare, sta realmente diventando un reato sotto differenti punti di vista. E mentre fa discutere quanto accade in mare con le navi di salvataggio delle Ong, “costrette” a “negoziare” vite umane in pericolo (noi ne abbiamo parlato qui e qui), ecco che si contende l’attenzione alla frontiera opposta. E quanto avvenuto nella stazione ferroviaria di Bardonecchia, al confine francese, dove nella notte fra venerdì e sabato scorsi, cinque doganieri d’oltralpe hanno fatto irruzione in una «sala protetta» di una Ong che assiste i migranti fra Italia e Francia, costringendone uno a sottoporsi a un test antidroga delle urine e intimidendo un medico, i mediatori e gli avvocati presenti, fa riflettere e preoccupa non poco. L’azione della polizia francese, secondo l’Ong Rainbow4 Africa, che ha subito insieme ai migranti di questa irruzione, ha violato i principi di indipendenza, neutralità, imparzialità e umanità.
Il giorno di Pasqua, il procuratore capo di Torino, Armando Spataro, ha reso noto che, dopo quanto accaduto, la Procura del capoluogo piemontese ha deciso di aprire «un procedimento penale a carico di persone ignote (non essendo note le generalità degli operatori francesi)». La lista dei reati ipotizzati è lunga: concorso in abuso d’ufficio, violenza privata aggravata e violazione di domicilio aggravata; mentre gli inquirenti si riservano di valutare anche l’iscrizione per il reato di perquisizione illegale. Nel frattempo, tuttavia, il ministro francese dei Conti Pubblici, Gérald Darmanin, ha detto di aver “chiesto ai doganieri, che non hanno fatto nulla di illegale, di sospendere il funzionamento del nostro accordo, in attesa di una mia visita al governo italiano. Se bisogna rivedere l’accordo, ovviamente lo faremo”. Il 2 aprile, Darmanin ha ribadito la posizione della Francia: “Non c’è stata nessuna violazione della sovranità italiana, solo una stretta applicazione dell’accordo del 1990 che consente di effettuare da una parte e dell’altra della frontiera dei controlli”.
Commenti di sdegno sono arrivati da ogni parte dello schieramento politico, da destra a sinistra. A destra ci si è concentrati sulla “sovranità italiana” e l’”orgoglio nazionale”, dimenticando le violazioni subite dai migranti, il mancato rispetto dei diritti umani, ricordato invece da molti esponenti di sinistra.
Anche l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), intervenuta nel merito, ha dichiarato che le leggi di collaborazione tra la polizia italiana e quella francese sono state palesemente violate. Oltre il trattato di Schengen, anche l’accordo di Chambery del 1997. L’articolo 41 di Schengen vieta l’ingresso agli agenti francesi «nei domicili e nei luoghi non accessibili al pubblico», come forse sono quelli della stazione di Bardonecchia dopo la fine dell’accordo che li metteva a disposizione della polizia francese. Secondo l’ASGI, infine, gli agenti francesi non potevano ottenere il campione di urina della persona sospettata senza un’autorizzazione di un pubblico ministero italiano, come previsto dal codice di procedura penale.
Ma al di là delle violazioni di legge, sarebbe riduttivo ricondurre la gravità di quanto accaduto alla sola irruzione degli agenti francesi: l’attenzione mediatica privilegia l’“incidente diplomatico” dimenticando le molte vite appese ad un filo, quello di una linea di confine che non è consentito oltrepassare.