Malta, mattoni e pannelli: e il parcheggio coperto del piazzale est della stazione Tiburtina in pochi minuti viene murato. Risposta più chiara – tanto simbolicamente quanto concretamente – non poteva arrivare alle persone che da due settimane dormono nello spazio, completamente abbandonato, di proprietà delle Ferrovie dello Stato.
Sono soprattutto eritrei e sudanesi, la maggior parte molto giovani: donne e uomini che fino a due mesi fa vivevano in via Cupa – davanti all’ex centro Baobab – e che da lì sono stati costretti a spostarsi – l’ultimo sgombero lo scorso 30 settembre – senza mai ricevere dalle istituzioni alcuna reale soluzione alternativa.
Dopo l’ultimo sgombero subìto, le persone si sono mosse da via Cupa alle strade limitrofe, per concentrarsi nel piazzale del Verano in occasione della distribuzione dei pasti, a cui i volontari di Baobab continuano a provvedere. Ma anche nel piazzale sono intervenuti diversi blindati della polizia, e le persone sono state costrette, ancora una volta, a andare via. Dove? La risposta istituzionale non è arrivata: sembra che l’importante sia che queste persone non siano visibili. Ecco dunque che molte si sono spostate nel piazzale est della stazione Tiburtina: non all’ingresso principale – dove alcuni erano andati dopo lo sgombero del 30 settembre, e da dove sono stati sgomberati -, ma in quello dietro, poco visibile e difficilmente raggiungibile (Lo spazio dove l’anno scorso era sorta la tendopoli della Croce Rossa, in cui dormivano circa 150 persone dopo lo sgombero della baraccopoli di Ponte Mammolo, mentre molte altre si concentravano in via Cupa. Ora, al posto della tendopoli c’è un parcheggio).
Lì, nel parcheggio sotterraneo del piazzale, da due settimane circa 200 persone avevano trovato un riparo, del tutto emergenziale. Uno spazio di proprietà delle FS, “aperto da circa due anni e mai utilizzato”, come ci racconta V., volontario del Baobab: “Ci hanno detto che il parcheggio non è a norma”. Proprio per questo, oltre a non poter essere usato dalla cittadinanza, non possono starci nemmeno le persone: lo conferma un poliziotto, che ci spiega: “E’ pericoloso: una coperta che prende fuoco, una scossa di terremoto..qualsiasi cosa. Questo spazio non è a norma”. Sarebbe questo il motivo ufficiale alla base della sollecitazione fatta dalla polizia ferroviaria a chi da due settimane trovava ricovero lì sotto: dal parcheggio devono andarsene. Possono spostarsi nel piazzale di sopra, all’aperto, che non è di proprietà delle Fs, ma del Comune, come ci dicono i volontari, che parlano di un “gioco al rimpallo”.
L’importante, avrebbero detto gli agenti di polizia, è che non si utilizzino tende o gazebo. “Quindi le persone dormiranno all’aperto. E se piove?”, chiedono i volontari. La risposta, ancora una volta, non arriva. Le istituzioni sono totalmente assenti. “L’assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, Laura Baldassare, non ci risponde più. Durante l’assemblea straordinaria tenuta in Campidoglio proprio sulla questione dell’accoglienza è stato detto che si sta studiando la situazione. Ma che c’è da capire? Occorre trovare una soluzione, di fronte alle tante persone che continuano a passare per l’Italia – e Roma in particolare – nel tentativo di raggiungere altri paesi”.
Gli unici rappresentanti delle istituzioni sono gli operatori della Sala Operativa Sociale del Comune di Roma – un servizio in parte appaltato a diverse cooperative – che da mesi vengono inviati prima a via Cupa, poi al piazzale del Verano, e ora al piazzale est di Tiburtina: “Veniamo mandati qui per monitorare se ci sono casi di forte fragilità, come donne in stato di gravidanza, minori non accompagnati, persone malate. Per questi casi proviamo a cercare delle soluzioni nei centri di accoglienza, stante il fatto che di posti ce ne sono pochi. Anche per noi è una situazione molto critica – ci spiegano i due operatori presenti, guardandosi attorno – noi veniamo mandati qua con questo mandato. Capiamo che non è sufficiente. E anche che molte persone nei centri non ci vogliono andare”.
La maggior parte delle persone presenti, e interessate da questi ripetuti sgomberi, sono cosiddetti ‘transitanti’: in altri termini, l’Italia per loro è solo un paese di passaggio. “Mia sorella vive in Germania. Vorrei raggiungerla”, ci spiega A., che ha ventidue anni e viene dall’Eritrea. E’ a Roma da due mesi, prima stava a via Cupa. Anche I., ventotto anni, del Sudan, vuole spostarsi: “UK. Se potessi chiedere una cosa alle istituzioni italiane, sarebbe di farmi andare via”, ci spiega in inglese. Gli fa eco M., ventisette anni, anche lui sudanese: “Mushkila – problemi, in arabo”, ci dice, e si guarda intorno, indicando i sacchi neri dove hanno chiuso i vestiti e le coperte stese sulle grate della stazione. A M. e A. non hanno preso le impronte; a I. si, in Sicilia, appena arrivato. “Siamo di nuovo in strada. Io ho lasciato le mie impronte, e anche loro. In Sicilia, quando siamo sbarcati. Abbiamo detto che vogliamo partecipare alla relocation. Ci hanno spostati su Roma. Da due mesi siamo in strada. Ci dicono relocation, ma non riusciamo a partire. E qui non ci lasciano stare da nessuna parte, in strada no, nel parcheggio no.. speriamo che questa notte non piova”, ci spiega in inglese. “Io voglio rimanere qui. Ho diciotto anni, vengo dal Ciad. Settimana scorsa sono andato in Questura per presentare la richiesta di protezione. Non l’hanno accettata, mi hanno detto di tornare settimana prossima”, così E., esplicitando un altro dei grandi problemi che sta affliggendo la Capitale, ossia il fatto che la Questura di via Patini non accetta le domande di protezione internazionale, comunicandolo ai diretti interessati a voce.
Mentre parliamo con i presenti, arrivano altri volontari, con alcune buste con pentole e cibo. Ci si prepara per la distribuzione dei pasti. “Da due anni questo parcheggio è inutilizzato, e nessuno ha fatto nulla. Da anni le persone stanno in strada, e si dice che ‘si sta studiando una soluzione’. Nessuno fa nulla, nemmeno per tutelare i bisogni essenziali, come un riparo e il cibo. La polizia e i blindati invece arrivano velocemente, e per murare l’ingresso del parcheggio ci hanno messo dieci minuti”, afferma V., uno dei volontari, mentre apre alcune buste e sistema il cibo. Anche da questo punto di vista, l’unica differenza la fanno le persone che spontaneamente danno una mano.
Serena Chiodo