E’ diventata virale la fotografia che ritrae un bambino di otto anni chiuso in un trolley. “E’ stato trovato dai funzionari dell’immigrazione durante i controlli a Ceuta, enclave spagnola nel territorio marocchino”, scriveva La Repubblica – la prima a darne notizia – nella descrizione dell’immagine, specificando che a trasportare il minore, originario della Costa d’Avorio, era “una 19enne marocchina, arrestata con l’accusa di favoreggiamento di immigrazione clandestina. La giovane stava portando il bambino dalla madre, ”legalmente residente in Spagna” scriveva sempre La Repubblica.
Tralasciamo per un attimo un dettaglio: ad attendere il bambino era in realtà il padre, titolare di un permesso di un soggiorno.
Ma perché se un genitore risiede legalmente in Spagna è costretto a farlo viaggiare illegalmente dentro una valigia? Non poteva semplicemente fare una domanda di ricongiungimento? Il problema è proprio qui: per un migrante niente è semplice, nemmeno vivere con il proprio figlio.
Leggendo la notizia sui quotidiani spagnoli e contattando un conoscente presente sul territorio, scopriamo che la giovane ragazza marocchina non ha alcun legame con il minore, ma è stata solo pagata dal padre del bambino per tentare di condurlo in Spagna. Oltre a lei, la polizia spagnola ha arrestato anche il padre del minore, presente alla frontiera dove sarebbe dovuto arrivare suo figlio. L’uomo dal 2007 è titolare di un permesso di soggiorno e risiede a Las Palmas de Gran Canaria, in Spagna. Si è già ricongiunto con una parte della sua famiglia: la moglie e due figli. Altri due bambini sono dovuti rimanere in Costa d’Avorio: il ricongiungimento con loro è stato negato dallo stato spagnolo, perché per legge un lavoratore deve guadagnare 799 Euro per ricongiungere il primo familiare, e altri 266 per ogni altro membro della famiglia. In questo caso, per portare tutta la propria famiglia in Spagna, l’uomo avrebbe dovuto dimostrare di avere uno stipendio mensile di circa 1300 euro che, evidentemente, non ha. Per questo è ricorso alla via non autorizzata considerata più sicura: almeno rispetto a quella del Mar Mediterraneo percorsa da moltissimi migranti.
Ora il padre e la donna marocchina rischiano da 4 a 8 anni di carcere e sono in arresto con l’accusa di “delitto contro i diritti di uno straniero”, con l’aggravante di aver messo in pericolo la vita di un minore. Attualmente, il bambino è stato preso in carico dall’assistenza sociale di Ceuta.
“Padre e figlio ora sono separati non solo dalle frontiere naturali tra paesi, ma dalle sbarre e dalle leggi”, scrive il quotidiano spagnolo El Pais, sintetizzando così una storia che palesa l’assurdità, e la disumanità, delle norme europee che i migranti sono costretti a seguire e, in casi come questo, a subire. Norme che impediscono a un figlio di fare la cosa più naturale del mondo, ossia stare con i propri genitori; leggi che incarcerano un padre il cui solo obiettivo era riabbracciare il figlio.
Tutto questo per una ragione meramente economica. Ora, un padre è in carcere, un figlio, finalmente nella stessa terra in cui vive la famiglia, è affidato ai servizi sociali. In un cortocircuito privo di senso.