E’ proprio il caso di dire al peggio non c’è mai fine. In provincia di Cosenza, un bambino di 11 anni è stato perquisito, a scuola, dai carabinieri. Proprio così. E’ successo, per la precisione, a Cerisano: un litigio tra compagni di scuola, un calcio e una scatola di colori lanciata addosso. Poteva finire così, invece il padre della bambina coinvolta nella lite ha poi parlato con un carabiniere, riferendo di un coltello che il bambino avrebbe avuto con sé.
A quel punto, i carabinieri hanno pensato di entrare a scuola e, insieme al vicepreside, obbligare il bambino a svuotare tasche e zaino davanti a tutti i compagni. Senza trovare nulla.
Una situazione che ha dell’incredibile, e che probabilmente rimarrà impressa nella memoria del bambino.
Ma in questa vicenda altri due aspetti destano perplessità: le modalità con cui la stampa ha riportato la notizia, e le reazioni che ne sono seguite.
La maggior parte dei quotidiani riferisce che “il bambino è marocchino”. Lo specifica l’Ansa, lo sottolinea Globalist, lo riportano QuiCosenza e L’ora della Calabria, solo per citarne alcuni.
Non capiamo l’utilità di fornire informazioni sulla nazionalità del bambino, alla quale i quotidiani hanno deciso di dare importanza anche sottolineando che “la famiglia vive a Cerisano da qualche anno, ed è ben integrata”.
La stessa linea sembra essere seguita dal sindaco Salvatore Mancina, che parla di episodio inammissibile nei confronti del bambino e della sua famiglia, “persone oneste e perbene, che si sono perfettamente integrate, pagano le tasse e fanno il loro dovere di cittadini”. Come altre “famiglie di immigrati extracomunitari che si sono integrate e non hanno mai creato problemi”, sottolinea il sindaco.
In tutto ciò, l’unica cosa veramente importante è l’irruzione dei carabinieri in una scuola elementare e la paura di un bambino, cui è stato imposto di svuotare lo zaino davanti a tutti alla ricerca di un’arma. La tutela del minore è stata completamente assente, e questa è l’unica cosa su cui concentrare l’attenzione.
Sottolineare l’origine nazionale del bambino, e il fatto che la sua sia una famiglia “ben integrata”, non fa altro che rimarcare la linea di separazione che hanno tracciato i carabinieri.
L’unica reazione utile e necessaria è quella della madre del bambino, che ha sporto denuncia contro il gesto dei carabinieri.