“A me una frase del genere preoccupa. E mi preoccupa ancora di più che a dirla sia un uomo che di lavoro fa il vigilante, che ha un’arma al fianco. E che dovrebbe preoccuparsi della sicurezza di tutti”. A parlare è Rita. Abita a Roma, ed è un’insegnante. “Forse per questo sono rimasta così sconvolta. Prima da quello che ho visto, e poi da quello che ho sentito”. Quello che ha visto, e sentito, ce lo siamo fatto raccontare direttamente da lei. E’ sabato pomeriggio, intorno alle 15.00, quando Rita entra nella stazione Termini, e scende le scale per entrare in metropolitana. La scena che le si para davanti è la seguente: “Un gruppetto di bambine, circa sei o sette, dai dieci a, massimo, dodici anni, sedute a terra. Accanto a loro, da una parte e dall’altra, due soldati, con i mitra imbracciati – non puntati contro le bambine”, precisa Rita, che, vedendo la situazione, si ferma. Insieme ai soldati ci sono due vigilanti di Atac, l’azienda di trasporti pubblici capitolina. Arrivano poi alcuni poliziotti; intanto, con Rita si ferma un’altra donna, che vai dai vigilanti per offrirsi come interprete. “Non c’è bisogno”, le viene risposto. Così, dopo un po’, la signora, costretta dagli impegni, va via. Rimane Rita: “Sarà perché sono un’insegnante, non so, ma la scena di quelle bambine, sedute a terra, circondate da vigilanti e soldati, in mezzo alla folla, mi ha disturbata molto. Chissà che pensieri passavano nella mente di quelle bambine…”. I poliziotti prendono le bambine e le portano via. A quel punto Rita pensa di andare via, ma poi si ferma, e va dai vigilanti: “Io capisco che ognuno fa il proprio lavoro, e capisco anche le tante difficoltà che si possono presentare in un lavoro legato al controllo e alla sicurezza. Ma la scena a cui ho assistito è stata veramente troppo forte”. Scusandosi del disturbo, Rita fa presente ai vigilanti la cosa, spiegando che forse si potrebbero usare dei modi differenti, soprattutto quando si ha a che fare con dei bambini. E qui arriva la frase che gela Rita: “Signora, ma quelli non sono bambini. Sono rom”. A pronunciarla è il vigilante più giovane. Rita non crede alle sue orecchie: “Mi hanno detto che avevano rubato diverse cose. Se mi avesse detto ‘signora, sono bambine, ma sono anche ladre’, sarebbe stato diverso. Ma una frase del genere nega l’infanzia, e anche tutto quello che ne dovrebbe conseguire. Se sono bambini ladri, vanno presi in carico, seguiti in percorsi di educazione… invece con questa frase li si esclude dalla categoria di bambini, non vengono riconosciuti come tali. Li si etichetta, caricandoli di stereotipi”. Rita fa notare al vigilante che lei insegna a dei bambini rom, e chiede se allora nemmeno i suoi studenti siano da considerarsi bambini. “Forse saranno diversi signora..e comunque, io ho le mie idee..meglio che sto zitto”, risponde il vigilante.
Non è così difficile capire quali possano essere, le idee del vigilante in questione. Che vede un rom, e non un bambino, in una netta e preoccupante differenziazione sociale su base etnica.
Rita ha inviato un modulo di reclamo a Atac. Non si è limitata a segnalare quanto visto e ascoltato: ha indicato anche alcune proposte. Prima fra tutte, la formazione del personale Atac, in particolare dei vigilanti. “Mi rendo conto che dover garantire controllo e sicurezza, soprattutto in una metropoli, deve essere estremamente difficile. E credo che tutti debbano essere messi in condizione di farlo nel migliore dei modi: il che vuol dire, anche, liberi da pregiudizi, spesso derivanti dalla mancanza di informazione. Per questo, credo potrebbe essere importante dotare le persone impiegate in servizi pubblici dei giusti strumenti di conoscenza e comprensione della realtà in cui poi vanno a operare”.
Noi ringraziamo Rita per la segnalazione, e soprattutto per il comportamento che ha assunto sabato scorso. Un comportamento che, se reiterato e moltiplicato, porterebbe sicuramente a degli importanti cambiamenti nella nostra società, sempre più spesso segnata da piccoli – e grandi – episodi di quotidiana discriminazione.
Serena Chiodo