Uffici esterni all’Unione Europea, per esaminare le domande relative agli ingressi e le richieste di protezione internazionale prima che le persone raggiungano l’Europa: è quanto sta pianificando la Commissione europea, stando alle anticipazioni del commissario Ue agli Affari interni e alle politiche sull’immigrazione Dimitris Avramopoulos, diffuse dal quotidiano inglese The Guardian. Gli uffici sarebbero dislocati presso le ambasciate presenti nei paesi di transito, come Niger, Egitto, Turchia e Libano. Secondo il documento che la Commissione dovrebbe produrre per maggio, anticipato da Avramopoulos, gli uffici rappresenterebbero una delle proposte messe in campo con l’obiettivo di ridurre l’immigrazione irregolare, aprendo canali di ingresso regolare per le persone richiedenti asilo.
Secondo il Guardian, la strategia politica anticipata dalla Commissione europea segnerebbe una svolta radicale nella politica dell’Unione, “un passo enorme” come sostiene Elizabeth Collett, direttrice della sezione europea del MIP – Migration Policy Institute secondo la quale questo nuovo approccio, se confermato, “significherebbe che un sistema europeo comune in materia di asilo si sta avvicinando”.
In realtà, “non è la prima volta che la Commissione europea ipotizza l’installazione fuori dall’Unione di uffici preposti alla valutazione delle domande di asilo”: lo sottolinea l’osservatorio europeo Migreurop, come segnala il blog Diritti e Frontiere. Già nel 2011 la Commissione finanziava una ricerca, realizzata poi dal Centro danese per i diritti umani e dal Consiglio danese per i rifugiati, sull’ “esame delle domande di asilo fuori dall’Unione”: lo studio raccomandava l’apertura di canali di ingresso legali e protetti, complementari ai sistemi di protezione internazionale già esistenti. Nel 2003, la Commissione pubblicava un documento relativo alla creazione di una politica europea comune su protezione e asilo (qui il testo, qui un’analisi di Migreurop). All’interno del documento, la Commissione rimarcava “una crisi sempre più evidente del sistema di protezione e asilo”, anche a fronte dell’“aumento dei flussi di persone con il legittimo bisogno di protezione internazionale”. Di fronte a questa situazione, da Bruxelles si sottolineava la necessità di “offrire protezione già nelle zone di origine”. Il documento europeo muoveva i passi da un progetto dell’allora primo ministro inglese Tony Blair, condiviso con Costas Simitis, all’epoca presidente dell’Unione Europea, in cui si ipotizzava l’istituzione di centri di elaborazione delle domande di asilo nei paesi di transito (qui il testo).
A più di dieci anni da queste analisi, un approccio all’immigrazione organico e condiviso a livello europeo sembra ancora lontano, nonostante le sollecitazioni che arrivano in tal senso dalle associazioni e dagli stati membri: nello specifico, da quelli maggiormente interessati dai flussi, e in particolare dagli sbarchi, sempre più numerosi stando ai dati diffusi da Frontex – delle 270.000 persone arrivate nel 2014 in Europa attraverso vie considerate irregolari, 220.000 hanno attraversato il Mar Mediteraneo. Più di 3.500 persone sono morte provando a attraversarlo-. Opposta invece la posizione dei paesi in cui gli ingressi, in particolare via mare, sono meno numerosi. Una contrapposizione che si manifesta anche nella reazione alla proposta della Commissione: mentre molti paesi, in primo luogo quelli a ridosso dei confini europei – Italia in testa- la appoggiano, altri sono poco inclini a vedere un cambiamento che potrebbe indebolire il controllo nazionale dei flussi in ingresso. E’ il caso, ad esempio, della Danimarca, e della Gran Bretagna, il cui governo si è dichiarato contrario alla creazione di nuovi “percorsi legali, inconcepibili nel panorama odierno”.
Al di là delle contrapposizioni tra paesi, è indubbio che una presa in carico comune dei flussi migratori verso l’Europa, in particolare delle persone che chiedono protezione, sia urgente e necessaria. Una presa in carico che deve essere “organizzata in modo non emergenziale”, come sottolinea Anna Eva Radicetti dell’ufficio europeo dell‘OIM-Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, “perché l’arrivo di migranti non rappresenta né un’emergenza né un problema, se gestito in modo strutturato”.
D’altra parte, i possibili rischi derivanti da un esame dislocato delle domande di protezione internazionale sono numerosi. Ad esempio, il Guardian si chiede quale sarà la posizione dell’Europa nei confronti di una persona la cui domanda di asilo è stata già rigettata da un paese terzo, o con quali criteri i rifugiati verranno “distribuiti” nei diversi paesi europei. E ancora, che posizione verrà assunta rispetto alle persone la cui domanda di protezione sarà diniegata, ma che difficilmente saranno disposte a tornare nel paese da cui sono fuggite, rimanendo quindi nei paesi di transito.
Questioni che dovrebbero essere affrontate giovedì prossimo, durante il vertice che si terrà a Bruxelles tra i ministri della Giustizia e Affari Interni dell’Europa.