“Oggi, dunque, ci troviamo con un Paese con un vastissimo territorio, con istituzioni praticamente fallite e potenziali gravi ripercussioni non solo su di noi, ma sulla stabilità e la sostenibilità dei processi di transizione nei Paesi africani nelle sue immediate vicinanze”. Lo ha affermato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni durante l’informativa urgente sulla situazione in Libia, presentata mercoledì 18 febbraio alla Camera. Crisi, deterioramento, massima allerta sono le parole con cui il responsabile della Farnesina ha descritto le condizioni in cui versa il paese nordafricano. Un paese in cui, stando alle parole del ministro, “la realtà della presenza di gruppi terroristici dev’essere valutata con attenzione, distinguendo tra fenomeni locali, come Ansar al-Sharia, criminalità comune, che si appoggia strumentalmente a questi fenomeni, e realtà esterne rappresentate dai combattenti stranieri che rispondono a Daesh e che affluiscono da aree di crisi africane mediorientali”. Realtà che traggono “vantaggio dall’assenza di un quadro istituzionale del Paese”. Le condizioni sono drammatiche al punto che l’Italia ha deciso, lo scorso 15 febbraio, “la temporanea chiusura della nostra ambasciata”. Un quadro più che preoccupante, quello tracciato da Gentiloni, all’interno del quale si inserisce il “dramma delle migliaia di persone che fuggono via mare sui barconi verso le nostre coste”.
Le parole pronunciate dal ministro durante l’audizione sembrano voler smorzare l’allarme lanciato poco tempo fa dallo stesso responsabile della Farnesina. “Siamo minacciati”, aveva affermato Gentiloni, aggiungendo: “La Libia è uno stato fallito. Se non si trova una mediazione bisogna pensare con le Nazioni Unite a fare qualcosa in più: l’Italia è pronta a combattere in un quadro di legalità internazionale”. La mediazione di cui parlava Gentiloni è la missione Onu UNSIMIL per la stabilizzazione della Libia, guidata da Bernardino Leon. E in merito alle “persone che fuggono”, durante un vertice anti-Isis tenutosi a Londra un mese fa Gentiloni paventava il possibile rischio “che tra i migranti possano infiltrarsi dei combattenti dell’Isis”. La frase aveva provocato l’immediata reazione della destra: “Subito il blocco dell’operazione Triton e di ogni nuovo sbarco”, era stato il commento del segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini. Il ministro degli esteri aveva poi precisato che “confondere terrorismo e immigrazione è un’idiozia. Sostenere che tra le decine di migliaia di disperati che approdano con i barconi sulle nostre coste si annidano terroristi armati di kalashnikov non ha senso”. Durante l’audizione alla Camera Gentiloni ha fatto un passo indietro anche rispetto alla possibilità di intervenire militarmente nel paese nordafricano. “Non vogliamo avventure e tantomeno crociate. In Libia l’unica soluzione è politica. Chiediamo alla comunità diplomatica di sostenere lo sforzo delle Nazioni unite di mettere attorno a un tavolo le diverse parti in conflitto”. E’ la sollecitazione rivolta dal ministro anche ai paesi confinanti con la Libia, in particolare alla Tunisia, dove pochi giorni fa ha incontrato il presidente Beji Caid Essebsi e il ministro degli esteri Taieb Baccouche, il quale ha confermato: “L’opzione militare non può essere quella buona, perché complica la situazione anche da punto di vista dei flussi migratori”.
Nonostante le rettifiche, il presunto allarme relativo all’immigrazione si è diffuso, e diversi politici – oltre a qualche giornalista – da giorni “suggeriscono” sarebbe meglio non far arrivare i migranti in Europa, proprio in ragione del rischio terrorismo (per alcuni esempi: Il Cittadino, Askanews,Gonews, Agi, Il Velino). Un discorso che non sembra proprio inserirsi nei binari dell’ “umanità e civiltà”, concetti molto cari all’Unione Europea e che secondo Gentiloni avrebbero “fatto grande l’Italia”. Senza considerare che, civiltà a parte, non si capisce perché, se noi chiudiamo l’ambasciata e raccomandiamo ai nostri connazionali di non recarsi in Libia, gli Altri dovrebbero invece rimanerci. Considerando, tra l’altro, che “le origini della crisi attuale vanno cercate negli errori compiuti, anche dalla comunità internazionale, nella fase successiva alla caduta del vecchio regime”. Anche per questo sarebbe dovere della comunità internazionale, Unione Europea compresa, garantire a chi fugge da una situazione unanimemente riconosciuta come drammatica la possibilità di chiedere protezione e vivere in un paese diverso da quello da cui noi stessi siamo fuggiti. Lo ha affermato proprio il ministro: “Di fronte alla crescita dell’onda migratoria una cosa è certa: non possiamo voltarci dall’altra parte, lasciando i migranti al loro destino”. Nel concreto, secondo Gentiloni le mosse da fare prioritariamente sono due: “Dobbiamo batterci per contrastare le cause delle migrazioni nei Paesi di origine e di transito, e dobbiamo rafforzare sensibilmente Triton, per adeguarla alla realtà di un fenomeno di scala enorme. A questo proposito – ha sottolineato il responsabile della Farnesina – ho inviato due o tre giorni fa una lettera all’Alto rappresentante dell’Unione europea, Mogherini, al Vicepresidente Timmermans e ai sei altri Commissari della Commissione Juncker, in cui ho chiesto, a nome del Governo italiano, che l’Unione europea faccia molto di più in termini di risorse finanziarie e di disponibilità di mezzi aeronavali, per rispondere con efficacia a questa emergenza, considerando che ad oggi, dall’inizio dell’anno, gli sbarchi sono aumentati del 59 per cento rispetto al 2014”.
Già, gli sbarchi sono aumentati: “dal 1° gennaio a metà febbraio sono infatti arrivate, nel nostro Paese, 5.302 persone, mentre nello stesso periodo dello scorso anno gli sbarchi erano stati 3.338. Non era, dunque, Mare Nostrum ad attirare i migranti, bensì il dramma delle aree di crisi su cui speculano, nel vuoto istituzionale libico, bande criminali assai agguerrite”, ha evidenziato il ministro. Di fronte a questa situazione, la sollecitata operazione Triton non può essere indicata come una soluzione: non è una missione di Search and Rescue, bensì un intervento gestito dall’agenzia di controllo delle frontiere europee Frontex. Con cui, tra l’altro, l’Unione Europea già sapeva che sarebbe stato altamente probabile un aumento degli immigrati morti in mare. Ciononostante, è l’unico strumento concreto messo in campo a livello europeo, recentemente esteso dalla Commissione Europea fino alla fine del 2015, con uno stanziamento “di emergenza” di 13,7 milioni di euro. Tra le critiche delle ong: “Estendere l’operazione Triton senza aumentare la sua zona operativa non cambia nulla”, hanno commentato da Amnesty International”.
“Mentre lavoriamo per affrontare la drammatica situazione in Libia, abbiamo deciso di rafforzare le nostre partnership con i paesi terzi situati lungo le principali rotte migratorie. Questo dovrebbe contribuire a smantellare le reti criminali di trafficanti e dare la massima protezione ai bisognosi, a partire dalle aree di vicinato in crisi”, ha sottolineato L’Alto rappresentante UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini. Ma l’unico vero modo per “smantellare le reti criminali di trafficanti” sarebbe mettere le persone in condizione di spostarsi in modo legale e sicuro: ad esempio istituendo canali umanitari, o applicando la Direttiva Europea sulla Protezione Temporanea 2001/55/CE, relativa alla “concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati”. Questo diminuirebbe inoltre le morti in mare, mentre Triton, come già ricordato, non va in questa direzione. Intervenire nelle situazioni di crisi sarebbe auspicabile, ma non sembra che la comunità internazionale riesca a farlo nella maniera ottimale, come dimostra l’attuale situazione libica.
“Una superpotenza economica come l’Unione europea può andare oltre i 50 milioni di euro l’anno che oggi vengono spesi per fronteggiare una simile emergenza”, ha affermato Gentiloni. Sul come farlo, se ne dovrebbe discutere il prossimo 16 marzo durante il Consiglio dei ministri degli Esteri Ue, e successivamente, il 19 e 20 marzo durante il prossimo Consiglio europeo, stando a quanto riferito dal presidente del Consiglio Donald Tusk. Una buona base di partenza sarebbe iniziare a pensare a politiche strutturate e piani programmatici, eliminando finalmente l’idea di “emergenza”.