Il primo luglio l’Austria assumerà la presidenza Ue. Il primo luglio dunque coordinerà l’Europa – che non implica nessun potere decisionale ma una certa capacità di dettare l’agenda – il giovane Sebastian Kurz, il cui governo è sostenuto dall’estrema destra del FPO, e che ha presentato a Bruxelles il suo piano per rivedere il sistema di asilo europeo. Un piano che contraddice l’idea stessa di accoglienza e che non è in linea con il diritto internazionale. Il Financial Times lo ha visto e ne riporta alcuni passaggi, il documento è pessimo sia in termini di proposte che di analisi del fenomeno.
Partiamo da questa parte, che ha una caratterizzazione razzista. Tra i richiedenti asilo “vi è un gran numero di giovani uomini con scarsa o nessuna istruzione che viaggiano soli. Molti tra costoro sono particolarmente suscettibili alle ideologie ostili alla libertà e/o inclini a ricorrere al crimine”. Inclini al crimine: per natura o per cultura? Gli austriaci non lo dicono, ma certo si tratta di un passaggio esplicitamente razzista. Quanto alle ideologie ostili – qui il riferimento è al terrorismo islamico – il documento nasconde due verità: le ideologie ostili fanno presa tra alcuni giovani nati e cresciuti in Europa e la ragione di qeusta presa è l’esclusione sperimentata sulla propria pelle che fa da terreno fertile per la propaganda estremista.
Un altro assaggio? “Come ha dimostrato l’esperienza con l’immigrazione dalle regioni che sono caratterizzate da atteggiamenti religiosi patriarcali, anti-libertà e/o arretrati, i problemi relativi all’integrazione e alla sicurezza potrebbero addirittura aumentare significativamente nel corso di diverse generazioni “. Qui si descrive una cultura unica e uniforme per coloro che arrivano e si spiega che si tratta di una cultura immodificabile, che non evolve – o che peggiora, come dimostrerebbero le vicende francesi o britanniche. Due cose sbagliate in una frase. Qualche esempio contrario e famoso? A Londra c’è un sindaco pakistano figlio di immigrati, il leader dei Verdi olandesi Jessie Klaver è figlio di un marocchino.
Il documento austriaco tra l’altro gioca con i numeri e le provenienze: oggi i flussi in ingresso non sono più quelli dalla Siria ma, soprattutto, da alcuni Paesi africani che non sono musulmani – già perché il documento non lo dice, ma il riferimento alle “culture diverse” è quello. Quanto alle provenienze dalla Siria, se l’Europa non è capace di mostrare la porta aperta neppure a chi fugge da un conflitto devastante come quello siriano, allora può tranquillamente dichiararsi un esperimento fallito.
Ma veniamo alle proposte austriache: fare in modo che la maggior parte delle domande di asilo vengano presentate fuori dai confini europei, aprire campi in Paesi terzi dove rispedire le persone salvate in mare, trasferire le persone la cui domanda di asilo viene respinta in Paesi terzi (prima che possano fare ricorso), fare in modo che le persone in fuga dalla guerra vengano accolte in luoghi il più vicino possibile alla area di crisi “per ridurre i problemi culturali”. Per riformare il sistema europeo di asilo si sceglierebbe così l’esternalizzazione. L’idea, certo non nuova, era stata avanzata con particolare decisione dal premier ungherese Orban nel 2016 e oggi è diventata egemone. Brutto segno. Si tratta di ipotesi non in linea con i trattati internazionali: una persona già in Europa che vuole presentare domanda di asilo dovrebbe avere il diritto di farlo.
La proposta austriaca si accompagna a quella meno drastica avanzata dall’Italia al mini vertice dei giorni scorsi. Le poche righe di quello che viene pomposamente chiamato “European Multilevel Strategy for Migration” non dicono nulla di nuovo. Nel dettaglio il piano italiano prevede l’intensificazione dei rapporti con i Paesi terzi, il rafforzamento delle frontiere, la lotta al traffico di essere umani, la riforma di Dublino e la distribuzione delle persone che sbarcano in centri di accoglienza in tutti i Paesi d’Europa. Alcune di queste idee le aveva già avanzate la Commissione, altre sono non-idee (riformare Dublino è un’aspirazione, non un piano). Alcune ipotesi, come la ricollocazione, hanno senso. Peccato che il piano europeo del 2017 che prevedeva la distribuzione delle persone sbarcate in Grecia e Italia nei Paesi europei sia stato un colossale flop.
Quanto all’idea di aprire centri che processino le domande di asilo fuori dai confini, questa è in qualche modo contenuta in un’ipotesi della commissione: creare luoghi in cooperazione con OIM e Unhcr – che garantirebbero il rispetto dei diritti umani in questi luoghi – che separino migranti economici da persone in fuga dalla guerra o da persecuzioni. La proposta è pericolosa perché potrebbe mettere a rischio persone che hanno percorso migliaia di chilometri per arrivare in Europa, ed è anche inattuabile. A dircelo è la visita del ministro degli Interni italiano Salvini a Tripoli, dove il vice premier Ahmed Maiteeq ha rigettato la proposta. Neppure Marocco, Tunisia ed Egitto si sono resi disponibili.
Sia il documento italiano che quello austriaco sembrano però avere come fonte di ispirazione la volontà di parlare al proprio pubblico e non ai governi: linguaggio semplice, poche righe, frasi che non indicano soluzioni nei dettagli ma che evocano un pericolo culturale (il documento austriaco) o fanno appello alla necessità di cambiare (“non possiamo portare tutti in Italia e Spagna”, “Superare Dublino”, nel documento austriaco). La linea di tutti sembra essere quella della non condivisione del problema: ciascun Paese sceglie la soluzione che ridimensiona la questione dei richiedenti asilo in casa propria. Chi se ne importa del destino di quelle persone e chi se ne importa della cooperazione europea.
L’ultimo paradosso di questa vicenda è che l’Europa si trova a discutere della “crisi dei rifugiati” e della necessità di intervenire con urgenza in un momento in cui gli sbarchi diminuiscono e i flussi da Siria e Iraq sono da tempo ridimensionati. Questo potrebbe essere il momento di discutere con pacatezza, ma la potenza di fuoco dei partiti di governo xenofobi in diverse capitali europee rendono quella delle migrazioni la grande questione urgente da affrontare.
Segno dei tempi.