Un’inchiesta coordinata dalla Procura di Palmi ha condotto all’arresto di sette persone (Davide Madaffari, 41 anni, Alessandro Madaffari (37), Salvatore Di Bartolo (40), Giuseppe Ravalli (26), Vincenzo Consiglio (43), tutti di Rosarno, Mohammed Keita (30), cittadino maliano, e Filip Kuzev (36), cittadino bulgaro) per associazione a delinquere finalizzata alla intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro, “reclutamento di manodopera clandestina” di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno o scaduto, violazione della normativa previdenziale di tutela dei lavoratori subordinati e truffa aggravata ai danni di enti pubblici. La notizia è di venerdì scorso, ma non ha avuto molta eco.
Eppure, le indagini hanno fatto emergere un consistente fenomeno di caporalato nella Piana di Gioia Tauro, con tutto il suo corollario: lavoro in nero e senza garanzia, operai senza diritto a riposi settimanali, ferie pagate, malattia e obbligati a lavorare senza un adeguato abbigliamento protettivo, facendo fronte alle avversità climatiche con mezzi di equipaggiamento di fortuna, e meno di cinquanta centesimi per una cassetta di agrumi. Accanto allo sfruttamento di persone di origine nordafricana, anche quello di quelle provenienti dai paesi comunitari, soprattutto dell’Est Europa, e in particolare cittadini di nazionalità bulgara.
La Flai Cgil della Piana di Gioia Tauro, con un comunicato, sollecita a gran voce l’approvazione della legge regionale contro il caporalato e lo sfruttamento degli esseri umani in agricoltura, e chiede alla Prefettura, al Ministro degli Interni ed alla Regione Calabria di convocare una urgente riunione, assieme alle associazioni umanitarie e alle organizzazioni sindacali, per programmare la nuova stagione di raccolta degli agrumi, a garanzia dei diritti umani e nel lavoro di migliaia di lavoratori immigrati.
Già … diritti umani, tutele e garanzie. Tutte cose che sicuramente non ha avuto Toure Saidou, trentasei anni, migrante originario del Mali e residente proprio nella zona container di Rosarno, vittima di un delitto tremendo, di cui nessuno parla. Qualche trafiletto nella stampa locale. Poi, il nulla.
Eppure il cadavere di Saidou (o semplicemente “l’immigrato di colore”, come riporta la stampa locale), in Italia dal 2012 con regolare permesso di soggiorno rilasciato per tre anni per motivi umanitari, è stato ritrovato in avanzato stato di decomposizione in un agrumeto con il cranio distrutto con un blocco di cemento la sera del 3 giugno. Sono trascorsi diversi giorni, ma forse di notizie come queste è meglio non parlarne. Si preferisce continuare a lanciare allarmi sulla presunta “invasione” dei migranti, e chiudere le porte di regioni e comuni all’accoglienza. Di certo, lo “straniero” fa più notizia se è protagonista e non vittima di delitti.
Il Procuratore della Repubblica di Palmi, Ottavio Sferlazza, riferisce: “Ancora non sappiamo molto su questo episodio anche perché deve essere ancora eseguita l’autopsia sul corpo dell’immigrato. Da un primo esame esterno sembrerebbe che sia rimasto vittima di un’aggressione particolarmente violenta a causa della quale ha subito danni mortali al cranio. Questo episodio è sintomatico di una situazione di disperazione, di degrado e di emarginazione che deve farci riflettere tutti”. Che cosa è successo realmente a Saidou? Chi l’ha ucciso e soprattutto perché? Come mai tanta violenza?
Forse non avremo mai una risposta, e la morte del povero Saidou, senza una verità ed una giustizia, resterà confinata in un trafiletto di cronaca “nera”.