Le organizzazioni sottoscritte, partecipanti al “Tavolo Nazionale Asilo” coordinato dalla Delegazione dell’UNHCR, nonché alcuni enti locali ed enti di tutela facenti parte della rete SPRAR o altrimenti impegnati nel settore della protezione dei rifugiati e richiedenti asilo, si appellano al Governo e alle altre autorità competenti affinché si trovino al più presto delle soluzioni per la sorte dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati giunti in Italia nel 2011 a causa dei conflitti in Nord Africa e soprattutto in Libia. L’Italia si è trovata di fronte ad una situazione particolare, non contemplata dalla normativa internazionale e comunitaria: migliaia di persone provenienti da molti Paesi dell’Africa e dell’Asia, sono state costrette a fuggire dalla Libia a causa del conflitto bellico, da varie forme di violenza e persecuzione, esercitate da ambedue le parti coinvolte nel conflitto, in particolare nei confronti delle persone provenienti dall’Africa subsahariana.
Molte delle persone fuggite dalla Libia e giunte in Italia – che possiamo definire “profughi” in ragione della loro peculiare condizione – hanno lavorato per anni in Libia o sono nate nel paese senza ottenerne la cittadinanza e molti, peraltro, vorrebbero tornare in Libia, non appena si saranno ristabilite condizioni di sicurezza, per riprendere i loro risparmi depositati presso le banche libiche e/o per riprendere a lavorare presso le società o i datori di lavoro libici dove lavoravano prima dell’inizio del conflitto. Va inoltre notato che in tanti sono stati incanalati nel percorso della domanda di protezione internazionale, spesso senza aver ricevuto un’adeguata informazione sulle implicazioni e sui possibili esiti della procedura di asilo ed ospitati in strutture non sempre adeguate. L’alto numero di decisioni negative riguardanti le loro domande di protezione internazionale rischia di generare una vera e propria ulteriore emergenza. V’è infatti il concreto rischio che un elevatissimo numero di ricorsi, condizione necessaria per rimanere nei centri di accoglienza, rischia di mettere in crisi la procedura di tutela del diritto d’asilo in sede giurisdizionale con gravi ricadute generali sull’intero sistema asilo.
Alla luce di quanto sopra, appare necessario trovare soluzioni eque e ragionevoli che tutelino in modo adeguato i bisogni di protezione e di assistenza di coloro che sono fuggiti dal conflitto in Libia, evitando di generare estese situazioni di irregolarità e di disagio sociale con gravi ripercussioni sulla società nel suo complesso. In tale ottica le scriventi organizzazioni desiderano portare all’attenzione delle competenti autorità le seguenti considerazioni.
1. Una più ampia attuazione delle norme vigenti in materia di protezione umanitaria riconosciuta a seguito dell’esame individuale delle domande di asilo, ai sensi del combinato disposto dell’art. 32 del d.lgs 25/08, dell’articolo 5, commi 6 e 9, e dell’articolo 19, comma 1, del D.Lgs 286/98 potrebbero permettere di fornire protezione alla maggior parte delle situazioni in cui versano i richiedenti asilo che sono giunti in Italia a seguito del conflitto in Libia. Nell’esame delle domande si potrebbe infatti adeguatamente valutare le circostanze nelle quali è avvenuta la fuga, le discriminazioni, le violenze e i traumi ivi subiti prima e durante il conflitto, le complessive circostanze personali e sociali dei singoli richiedenti, l’eventuale condizione di vulnerabilità psico-fisica, l’età, la permanenza o meno di legami con il paese di origine (soprattutto quando dalla partenza sia decorso un rilevante lasso di tempo) e la effettiva possibilità di farvi rientro in condizioni di sicurezza.
2. Appare inoltre opportuno che il Presidente del Consiglio dei Ministri valuti la possibilità di emanare, ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs 286/98, uno specifico decreto per prevedere la concessione di protezione temporanea, con conseguente rilascio di un permesso di soggiorno di validità almeno semestrale, in favore di tutti i cittadini stranieri non libici giunti dalla Libia, che tuttavia non hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale né la protezione umanitaria ex articolo 32 terzo comma del d.lgs. 25/2008. Va infatti considerato che si tratta anche in questi casi di persone che hanno dovuto abbandonare forzatamente il luogo dove stabilmente vivevano, a causa del conflitto, perdendo tutti i loro averi e vivendo una situazione altamente traumatica. Si ritiene pertanto che a detti cittadini stranieri debba essere data la possibilità di rimanere in Italia per un ulteriore periodo. Si ritiene che il presupposto umanitario che ha portato all’ordinanza del Presidente del Consiglio sullo stato di emergenza, poi prorogato per tutto l’anno 2012, che ha garantito accoglienza per molti mesi ai profughi, debba ancora essere riconosciuto giacché la situazione in Libia, pure a conflitto concluso, presenta chiari elementi di instabilità. Esiste pertanto la necessità di concedere/riconoscere ai profughi un ulteriore periodo di regolare soggiorno in Italia, sia per attendere che si creino le condizioni per un eventuale un rientro volontario in Libia, opzione da molti di loro auspicata, sia per pianificare un rientro nel paese di origine; ovvero per convertire, ove ricorrano le condizioni previste dalla legge, il loro permesso di soggiorno per protezione temporanea in un permesso ad altro titolo (ad esempio lavorativo). L’adozione delle misure qui auspicate implica la revoca dei provvedimenti di espulsione e la cessazione di eventuali provvedimenti coattivi adottati nei riguardi di profughi cui sia stata rigettata la domanda di asilo senza riconoscimento di alcuna forma di protezione. In tal senso è utile sottolineare che in molte realtà della rete d’accoglienza coordinata dalla Protezione Civile, le comunità locali si sono attivate per costruire percorsi di inclusione sociale impegnando risorse dello Stato. Interrompere queste esperienze apparirebbe poco coerente con quanto dichiarato dai rappresentanti dell’amministrazione pubblica all’inizio delle operazioni di distribuzione dei profughi sul territorio nazionale.
3. Al fine di dare concretezza a quanto indicato al punto 2, andrebbe considerato, quando la situazione in Libia sarà sufficientemente stabile e sicura, l’istituzione di un programma di ritorno volontario assistito in Libia attraverso accordi con il Governo transitorio libico per l’attivazione di tale programma, sulla base di garanzie per il rispetto dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori migranti in Libia. Contemporaneamente l’attuale programma di rimpatrio volontario assistito andrebbe modificato assicurando un sostegno socio-economico significativo, ovvero un sostanziale supporto alla reintegrazione nel paese di origine.
4. È necessario intervenire al più presto per programmare una progressiva chiusura delle esperienze di accoglienza della rete di Protezione Civile ospitate in strutture inadeguate, dando accoglienza alle persone in progetti con standard simili a quelli dello SPRAR. Contestualmente è necessario avviare l’inserimento dei progetti che già oggi hanno standard adeguati nella rete SPRAR, dislocando in quest’ultimo sistema le risorse necessarie per giungere velocemente ad un allargamento e ad una riforma di tale sistema, per renderlo adeguato, in termini di capienza, alle necessità del nostro Paese. In tal modo si eviterebbe, peraltro, che dalla prossima primavera si riproduca una situazione che diventi emergenziale per l’inadeguatezza dell’intervento dello Stato più che per la condizione oggettiva degli arrivi di richiedenti asilo.
5. Appare inoltre utile considerare l’adozione di misure particolari volte a facilitare l’avviamento del processo di integrazione di coloro ai quali è stata riconosciuta una forma di protezione internazionale.
6. Si richiama infine la necessità che in frontiera e nelle zone degli sbarchi venga sempre garantito l’accesso alla procedura di asilo in conformità alla normativa vigente, ponendo particolare attenzione a tutte le persone provenienti dalla Libia, dall’Egitto e dalla Siria. A tal fine deve essere garantita la possibilità agli organismi internazionali e alle associazioni di tutela di entrare in contatto con queste persone e di fornire loro adeguata informazione, orientamento, assistenza e tutela. Per facilitare le eventuali operazioni di soccorso nel Canale di Sicilia e per garantire, ove necessario, la prima accoglienza dei migranti e richiedenti asilo a Lampedusa, si auspica la revisione dell’ordinanza del settembre 2011 che definisce l’isola come “luogo non sicuro per lo sbarco dei migranti ai soli fini del soccorso in mare”. A Lampedusa è necessario ripristinare al più presto un sistema di accoglienza dignitosa per la prima assistenza, in attesa del trasferimento verso altre destinazioni.
12 marzo 2012, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR)
Partecipanti al Tavolo Nazionale Asilo:
ACLI, ARCI, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), CARITAS Italiana, Centro Astalli, Centro Sociale Ex-Canapificio, Comunità di Sant’Egidio, Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), FOCUS/Casa dei Diritti Sociali, Senzaconfine, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM)