Il 17 marzo, a seguito dell’orribile sparatoria avvenuta il giorno prima, ai danni di otto persone – incluse sei donne asiatiche — in tre spa di Atlanta, negli Stati Uniti, l’hashtag #StopAsianHate è andato in tendenza su Twitter. Il 30 marzo, lo stesso hashtag è entrato nelle tendenze anche in Italia. Fra i tweet più popolari, quello relativo al gruppo musicale BTS, che ha sostenuto il movimento #StopAsianHate pubblicando una lettera onesta e toccante sulla loro esperienza (accompagnata dall’altro hastahg #StopAAPIHate).
Di fatto, dall’inizio della pandemia da Coronavirus la violenza e il razzismo nei confronti di cittadini di origine asiatica o dai tratti asiatici è aumentato. Negli Stati Uniti, il fenomeno della sinofobia è andato radicalizzandosi soprattutto nell’ultimo mese con gravi episodi di violenza proprio nei confronti dei cittadini asiatici, stigmatizzati come “responsabili della diffusione del Covid-19”.
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Stop AAPI Hate, l’associazione nata dopo lo scoppio della pandemia per tracciare e analizzare gli incidenti d’odio contro gli Asiatici Americani e gli abitanti delle Isole del Pacifico, negli Stati Uniti, nel periodo che va dal marzo 2020 al febbraio 2021, c’è stato un vertiginoso aumento dei casi di razzismo. Il gruppo Stop AAPI Hate ha raccolto il numero record di 3795 di reati d’odio, incluse aggressioni verbali, violenza fisica, violazione dei diritti civili e cyberbullismo. Questi attacchi si sono intensificati in tutto il territorio statunitense, ma in particolar mondo a San Francisco e a Oakland. Infatti la California è il territorio con il più alto numero di cittadini Asiatici in America. Il numero di casi di odio segnalati rappresenta solo una piccola parte di quelli che si verificano effettivamente, ma mostra quanto gli asiatici americani siano vulnerabili ed esposti al razzismo e alla discriminazione.
Nei casi documentati da “Stop AAPI Hate”, le donne sono due volte più colpite rispetto agli uomini, la comunità più colpita è quella Cinese e l’odio si esprime per lo più in luoghi pubblici (nei negozi, per strada, nei parchi pubblici). Solo alcuni degli episodi documentati vengono riportati dalla stampa: oltre 2800 secondo la Cnn solo nello scorso anno.
Secondo alcuni osservatori questa ondata di violenza è in parte da addebitare alle esternazioni dell’ex presidente Donald Trump che aveva usato termini come “virus cinese” per addossare ‘etnicamente’ la responsabilità della diffusione del virus.
La reazione non si è fatta attendere, anche se con modalità differenti da quelle tenute a sostegno del movimento BLM, sia nell’opinione pubblica che nel mondo della moda, dello spettacolo, dello sport e della politica. Dopo la strage di Atlanta, numerose celebrità asiatiche americane (tra cui CL, Eric Nam, Jay Park, BM (KARD), E’Dawn, Lana Condor, Lucy Liu, Kim Kardashian, Katy Perry, Miley Cirus, Bella Hadid, Kylie Jenner e tanti altri) hanno sensibilizzato sull’argomento e hanno aiutato a raccogliere i fondi per proteggere le comunità asiatiche americane e delle isole del Pacifico.
Anche il mondo della moda è sceso in campo. Valentino, Versace, Oscar de la Renta, Moncler: sono tante le case di moda che hanno rilanciato dal proprio profilo Instagram l’hashtag #stopasianhate. E ancora. Centinaia di dirigenti d’azienda asiatici americani hanno firmato una lettera aperta che è stata pubblicata a tutta pagina sul Wall Street Journal chiedendo la fine della violenza e del razzismo contro la comunità asiatica americana. Hanno anche promesso una donazione di 10 milioni di dollari per il prossimo anno all’Asian Pacific Fund.
Purtroppo, questo genere di episodi razzisti non sono una novità, ma il grande aumento dei casi registrato con la diffusione della pandemia di Covid-19, è legato anche al linguaggio e alle espressioni utilizzate per descrivere l’origine del virus, tanto sui media che sui social media. Se la maggioranza di questi episodi si è verificata negli USA, sono stati numerosi i casi anche in Europa e in Italia. Noi ne abbiamo ampiamente parlato in un capitolo del nostro ultimo Libro bianco sul razzismo in Italia, e in altri articoli pubblicati sul sito (si veda ad esempio qui, qui e qui).
Soltanto due giorni fa, l’ultima aggressione, sempre ai danni di una donna di origini asiatiche. La polizia di New York ha tappezzato Manhattan di manifesti che offrivano una ricompensa di 2.500 dollari per localizzare l’uomo che, in un video di sorveglianza, si vede prendere a calci la donna di 65 anni. Immagini che hanno suscitato scalpore e indignazione anche per l’indifferenza disarmante dei passanti che vedono ma non intervengono.
Segno che la strada da percorrere è ancora lunga, e che la forza e la potenza virale di un hashtag sicuramente unisce nella protesta e nella solidarietà, ma di certo non ferma la violenza.