Ancora vittime da aggiungere alla lista delle persone che il Mar Mediterraneo si porta via ormai da troppi anni. La notizia risale al 10 Novembre scorso. Il naufragio è avvenuto a circa 30 miglia dalle coste libiche di Sabratha, in acque internazionali, dove non opera né la guardia costiera libica nè quella italiana. Uno degli aerei dell’agenzia Europea Frontex, che si occupa del controllo delle frontiere, aveva lanciato l’allarme dopo aver individuato un gommone in difficoltà con oltre 100 migranti a bordo, tra cui donne incinte e bambini, alcuni addirittura neonati. L’imbarcazione, che viaggiava da circa due giorni, è sprofondata poco dopo la segnalazione, probabilmente a causa del peso eccessivo, il fondo del gommone non ha retto. Le persone che vi viaggiavano sono finite in acqua sprovviste di qualunque dispositivo di sicurezza e senza salvagenti.
Sono sei le vittime di questa immane ed ennesima tragedia. Tra di loro anche Joseph, un bimbo di soli sei mesi proveniente dalla Guinea e per cui (insieme ad altri) era stata chiesta dai soccorritori un’immediata evacuazione medica a causa delle sue precarie condizioni di salute, chiedendo che fosse velocemente portato in ospedale. Purtroppo, non si è fatto in tempo e il piccolo non ce l’ha fatta. La buona notizia è che 110 persone invece sono state tratte in salvo. Ad intervenire in soccorso dei migranti è stata la nave dell’Ong catalana Open Arms (a bordo erano presenti anche alcuni medici di Emergency) che si è prontamente recata sul luogo indicato dal velivolo di Frontex, trovando davanti a sé una situazione più che disperata e purtroppo già annunciata.
Sembra infatti che dall’imbarcazione naufragata fosse partito un SOS già due giorni prima. Il presidente di Open Arms Italia, Riccardo Gatti, attraverso un video pubblicato su Twitter sul profilo della ONG, ha dichiarato che per quanto il loro intervento sia stato il più rapido ed efficace possibile, i mezzi a disposizione dell’ONG sono comunque limitati e insufficienti in queste occasioni (6 soccorritori e due lance rapide), sottolineando la necessità di un lavoro congiunto e coordinato da parte dei membri e delle istituzioni dell’Unione Europea per riprendere sia il soccorso in mare sia, soprattutto, per creare corridoi umanitari che possano consentire l’arrivo in sicurezza dei migranti e quindi evitare il ripetersi di simili tragedie.
La nave della Open Arms è infatti ad oggi l’unica tra le ONG in grado di operare. Le altre sono, per assurde questioni amministrative, poste sotto sequestro dalle autorità italiane. Sono sei le navi umanitarie fermate dal governo italiano da marzo 2020.
Inoltre, quello appena descritto non è stato l’unico naufragio verificatosi il 10 novembre. Ben 3 sono state le operazioni di salvataggio effettuate nell’arco di 24 ore dagli operatori di Open Arms. In serata il numero di migranti a bordo dell’imbarcazione dell’Ong è salito a 257, assieme ai 6 corpi di chi purtroppo non ce l’ha fatta. La nave si trova attualmente a largo di Lampedusa in attesa di un via libera per attraccare al porto.
Ogni qual volta che ci si trova dinanzi l’ennesima strage di migranti nel Mediterraneo ci si chiede se, finalmente, questa sia la volta buona, il momento in cui le istituzioni europee agiranno per potere evitare queste morti, per organizzare un sistema di rescue efficace, ma soprattutto per far viaggiare in sicurezza i migranti che scappano da terribili condizioni di vita nei loro paesi di origine. Eppure “ogni volta” non è mai l’ultima.
La notizia della morte del piccolo Joseph sta rimbalzando ormai su tutti i media e i giornali. Si reagisce indignati e ci si chiede come sia possibile che un bimbo di soli sei mesi sia potuto morire in questo modo dinanzi l’indifferenza generale. Eppure, la triste storia di Joseph è solo l’ennesima. La foto del piccolo Aylan Kurdi, 3 anni, morto sulle spiagge turche di Bodrum risale a soli 5 anni fa. Un’immagine eletta a simbolo delle stragi del Mediterraneo, grazie alla quale si pensava che qualcosa sarebbe cambiato. Oggi ci troviamo invece ancora una volta inermi a guardare l’ennesimo “incidente”. Tra pochi giorni ci si sarà già dimenticati di Joseph, come è stato fatto con Aylan e con tutte le altre vittime del Mediterraneo.
Open Arms ha diffuso un video sui social che riprende il grido di una donna disperata che ha appena perso in mare il figlio, “Where is my baby? I loose my baby”. È la mamma di Joseph. Immagini terribili, che si guardano a fatica e con un profondo dolore nel cuore. Hanno scritto che la riflessione sul decidere se mostrare o meno queste immagini è stata lunga e che alla fine abbiano deciso di farlo “perché i nostri occhi non siano i soli a vedere e perché si ponga fine a tutto questo subito”.
La speranza è esattamente questa, la stessa di sempre: che l’Unione Europea smetta di voltarsi dall’altra parte, di coprirsi gli occhi di fronte a ciò che sta succedendo da anni nel Mar Mediterraneo. Senza le ONG il bilancio dei migranti morti in mare sarebbe ancora più alto. Il loro lavoro è stato fondamentale per poter salvare tante vite umane, ma ad oggi, come detto in precedenza, fortemente limitato. Bisogna mettere fine alla criminalizzazione della solidarietà, sostenere le ONG e attivare misure che rendano i viaggi dei migranti sicuri. Per farlo bisogna diffondere notizie e informare su quanto accade.
Sperando che arriverà il momento in cui si dirà una volta per tutte, basta.