Si è cantata vittoria forse troppo in fretta. Ma sta di fatto che la famigerata ed esosa tassa sul permesso di soggiorno è tornata ad essere richiesta dalle Questure.
Nel maggio scorso, con la sentenza n. 6095 del 2016, il TAR del Lazio si era pronunciato in materia di permessi di soggiorno, eliminando l’obbligo, a carico dei cittadini stranieri, di versare la tassa richiesta per il rinnovo o il rilascio dello stesso. Il Giudice amministrativo, accogliendo il ricorso proposto dalla CGIL e dall’INCA, aveva annullato il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 6 ottobre 2011, nella parte in cui prevedeva il versamento di un “contributo” per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno (art. 5 comma 2- ter), le cui modalità di versamento erano stabilite dal successivo articolo 14-bis comma 2 (avevamo approfondito l’argomento qui). Il giudice aveva deciso che quel contributo era illegittimo, perché sproporzionato e non in linea con le norme europee, quindi non andava versato.
Nel limbo giuridico sotteso fra pronuncia del Tribunale amministrativo ed esecutività (effettiva) della sentenza, gran parte delle Questure hanno continuato a far pagare questo contributo in barba alla decisione del Tar (noi ne avevamo parlato qui).Tuttavia, il ministero dell’Interno ha chiesto alle Questure di adeguarsi. Ma restava aperta la questione dei rimborsi, ovvero di chi aveva pagato in passato per ottenere il permesso.
Dopo una serie di vibranti proteste messe in atto soprattutto dai sindacati, ci ha pensato il Consiglio di Stato (con decreto Presidenziale N. 03903/2016 del 14 Settembre 2016) a dirimere la questione, accettando tempestivamente il ricorso con cui il Governo, all’inizio di settembre, ha chiesto di annullare la sentenza del Tar del Lazio. Il tutto senza sentire le ragioni di Cgil e Inca. In particolare, il Governo ha chiesto, non solo di reintrodurre il contributo, ma anche di sospendere, in attesa del giudizio di merito, l’efficacia della sentenza del Tar, vista “l’estrema gravità delle ripercussioni sul piano operativo e finanziario”. Insomma una clamorosa marcia indietro.
Adesso, dopo la sospensiva, il Consiglio di Stato dovrà decidere nel merito il ricorso il prossimo 13 ottobre. Alla fine di quest’udienza, ci sarà una nuova decisione dei giudici, che potranno confermare o annullare la sospensiva della sentenza del Tar.
“Si tratta di un provvedimento grave e al limite del buon senso: i cittadini immigrati regolari che vivono, lavorano, pagano tasse e contributi in Italia non meritano un trattamento che, nei fatti, risulta essere discriminatorio“, spiegano congiuntamente Cgil e Inca. “Le ragioni che hanno portato il governo a presentare un ricorso urgente sono tutte di natura economica: nel ricorso si parla di ‘rilevantissimi effetti negativi per la finanza pubblica’, e s’insiste sui soldi che lo Stato perderà con l’annullamento del contributo e con i risarcimenti dovuti ai lavoratori immigrati. È evidente, quindi, che l’iniziativa del governo si fa beffa dei principi di equità e giustizia e delle disposizioni degli organismi comunitari (tra l’altro inappellabili), e fa cassa sui diritti delle fasce più deboli della cittadinanza“.
Intanto però a Perugia è in calendario per l’11 ottobre un appuntamento importante. Dinnanzi al Tar dell’Umbria, la Cgil chiederà la restituzione della tassa (200 euro) pagata da un cittadino boliviano che aveva smarrito la propria carta di soggiorno, nonostante fosse già intervenuta la Corte di Giustizia europea decretando l’illegittimità della tassa. Questa di Perugia è la prima di una serie di azioni legali risarcitorie che l’Inca Cgil condurrà in molte città italiane.
L’Inca Cgil di Bergamo, come sta facendo del resto anche il sindacato su tutto il territorio nazionale, consiglia “a chi non ha urgenza di entrare in possesso del titolo di attendere l’esito dell’udienza del Consiglio di Stato del 13 ottobre o, successivamente, delle udienze che decideranno la validità della sospensiva”. Questo perché queste somme si potranno avere indietro con estrema difficoltà, e dopo il 13 ottobre (o udienze successive) potrebbero non essere più pretese.
Quindi, non si paga più, anzi sì, o forse no.