La giovane vita di Alina Bonar Diachuk, cittadina ucraina di 32 anni, si è spezzata il 16 aprile scorso: si è suicidata nel commissariato di Villa Opicina, piccola frazione vicino Trieste, legando una corda al termosifone della cella in cui era stata rinchiusa a chiave due giorni prima. Ne veniamo a conoscenza soltanto oggi, a distanza di un mese. Questo perché la morte di Alina era stata frettolosamente rubricata come il “solito” triste suicidio. In realtà, la vicenda presenta molti lati oscuri e preoccupanti. Vediamo perché. La giovane donna, accusata di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, era stata scarcerata il 14 aprile scorso dopo aver patteggiato la pena, ma era stata subito “prelevata” da una pattuglia della polizia e reclusa in commissariato su disposizione di Carlo Baffi, capo dell’ufficio immigrazione e vicequestore per più di 48 ore. Alina, che aveva già compiuto atti di autolesionismo in carcere, dopo essersi stretta il cappio al collo, ha trascorso ben 40 minuti di agonia senza che nessun agente, sebbene la stanza fosse dotata di una telecamera di sorveglianza, l’abbia vista.
Sono partite così le indagini. Le perquisizioni nell’ufficio di Baffi hanno rivelato non solo la presenza di altri fascicoli riguardanti migranti che erano stati detenuti in passato in commissariato, ma anche un inquietante cartello con su scritto “Ufficio epurazione” – invece di “Ufficio immigrazione” – con accanto la foto di Mussolini. E ancora: sei proiettili in più di quelli che Baffi avrebbe potuto detenere, assieme ad una vecchia sciabola e ad un fermacarte con impresso il fascio littorio. Alcuni libri antisemiti, poi, vengono ritrovati anche a casa di Baffi, insieme ad un poster del duce. L’ipotesi di reato per la quale Baffi è indagato è sequestro di persona e omicidio colposo.
Sorprende che l’Associazione Nazionale dei Funzionari di Polizia si sia affrettata ad esprimere solidarietà al collega accusando la stampa di aver “già condannato” il dirigente.
La detenzione di pietre miliari della letteratura razzista e antisemita sarebbe spiegabile, secondo l’associazione, avendo collaborato Baffi con la Digos.
Il capo della Procura di Trieste, Michele Dalla Costa, ha precisato ad Adnkronos che ”ci sono anche altre persone sulle quali si è appuntata l’attenzione della Procura … valutando decine di posizioni, a partire dal secondo semestre del 2011, per verificare se quello dell’ucraina sia stato un caso isolato o meno”. I fascicoli sotto esame sarebbero 49. Se venissero verificati altri casi di detenzione illegale, la vicenda assumerebbe contorni ancora più inquietanti.
Segnaliamo il pezzo scritto da Stefano Galieni su www.controlacrisi.org