“La marginalità urbana prodotta dalle azioni istituzionali che negano la residenza coincide, prima di tutto, con l’esclusione da uno status: quello di residente formalmente riconosciuto. Si tratta, in altre parole, dell’espulsione dalla piena condizione di “cittadina/o locale”, che interessa persone – è importante ribadirlo – pienamente autorizzate a soggiornare in Italia, in ogni parte del suo territorio, e quindi titolari del diritto all’iscrizione anagrafica. Questo tipo di marginalizzazione è dovuta a ostacoli che non hanno una consistenza materiale né esclusivamente linguistica – pur essendo la dimensione discorsiva assolutamente rilevante –, ma che, piuttosto, si configurano come barriere legali e amministrative”. E’ quanto scrive Enrico Gargiulo, ricercatore in Sociologia generale nell’Università Ca’ Foscari di Venezia, in un interessante articolo pubblicato sul sito della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. “La negazione della residenza, dunque, in quanto forma di esclusione ed espulsione giuridica rappresenta un’articolazione dei percorsi di marginalizzazione urbana. Spingere ai margini, in questo senso, significa costruire status differenziati all’interno delle città e rendere i soggetti che li occupano più ricattabili e vulnerabili. Un processo del genere, nel quadro delle attuali trasformazioni urbane e delle retoriche che le circondano e legittimano, incentrate sulle possibilità di emancipazione individuale, restringe gli spazi di autonomia dei singoli invece di ampliarli. Ripensare la città, di conseguenza, significa in primo luogo contrastare simili modalità di gestione del potere a livello locale e immaginare nuovi tipi di riconoscimento comunale”.