Centocinquanta agenti di Europol specializzati nell’antiterrorismo all’interno degli hotspot in Grecia e Italia: è la misura annunciata dal colonnello Manuel Navarret, direttore del Centro antiterrorismo istituito all’inizio del 2016 dall’Unione Europea, in un’intervista pubblicata ieri sul quotidiano spagnolo El País. Il colonnello, interpellato sulla eventuale relazione tra sicurezza e arrivi di rifugiati, specifica che “nella gestione delle frontiere c’è sempre una componente di sicurezza”. Un aspetto che Navarret vede crescere “con la decisione dello Stato islamico di mandare terroristi dalla Siria e dall’Iraq per agire in Europa”. Nello specifico, secondo il colonnello i potenziali terroristi “avendo l’opportunità di usare il flusso di migliaia di rifugiati che arrivano in Europa”, potrebbero “infiltrarsi tra di loro ed entrare”. Questo dunque il motivo alla base della nuova misura pensata da Europol “seguendo l’appello della Commissione europea e dei Paesi membri”, come specifica il direttore dell’ECTC: guest officers, ossia ‘agenti ospiti’, che entro quest’estate dovrebbero essere dispiegati negli hotspot in Italia e Grecia. Si tratterebbe di “ufficiali dei vari Paesi membri, addestrati da Europol” per combattere il terrorismo, ma anche “lottare contro le reti di immigrazione irregolare”. L’annuncio di Navarret dovrà ora essere seguito dalla formalizzazione della missione e del suo mandato, e da riunioni operative e di coordinamento tra le forze europee e nazionali, affinché si sviluppi un lavoro sinergico sulla verifica delle identità delle persone. Leggendo le dichiarazioni di Navarret viene da chiedersi se effettivamente potenziali terroristi possano ricorrere ai cosiddetti “viaggi della speranza” – ma forse sarebbe più corretto definirli “viaggi della disperazione” – e alle imbarcazioni usate dai migranti, costretti a rischiare la vita per l’assenza di leggi che tutelino il diritto a cercare protezione in modo legale e sicuro: una possibilità reale, come dimostrato dal recente avvio di alcuni canali umanitari gestiti da associazioni, ma su cui evidentemente né le istituzioni europee né i governi dei paesi membri vogliono investire. La risposta alla domanda arriva sempre uguale a se stessa anno dopo anno. Secondo il segretario del Silp Cgil Daniele Tissone “ad oggi i casi di infiltrazioni all’interno di tali corridoi è risultato assai minimo. Quello del traffico di migranti e dei collegamenti con la criminalità organizzata e il terrorismo – sottolinea Tissone – è solamente uno dei versanti che vanno monitorati”. Sarebbe dunque un errore “confondere il fenomeno migratorio in atto – contraddistinto da una stragrande maggioranza di profughi e richiedenti asilo – con la minaccia terroristica. Meglio sarebbe creare veri e propri corridoi umanitari, per una gestione seria dei flussi”.
Le parole di Tissone riportano alla mente quanto già evidenziato nel 2014 dallo stesso segretario, il quale specificava che “i presunti terroristi non viaggiano a bordo dei barconi della speranza; tutto questo ce lo conferma l’attività svolta nel corso degli anni dalle forze di polizia”. Una questione su cui l’anno scorso è intervenuto il prefetto Pansa, allora Capo della Polizia e Direttore generale della Pubblica Sicurezza, secondo il quale non ci sarebbe alcuna evidenza di infiltrazioni terroristiche tra gli immigrati.
Ciò nonostante, sembra che le intenzioni europee, ben ancorate a una incessante militarizzazione dei territori di frontiera, non vadano né nella direzione di garantire alle persone in fuga l’accesso alla protezione, né di monitorare in modo serio quanto avviene all’interno degli hot-spot, sulla base delle numerose denunce avanzate da ong e associazioni (ad esempio, si veda “Hotspot Approach fuori dalla legalità costituzionale e contro le Direttive ed i Regolamenti europei“, “Hotspot luoghi di illegalità“, “Hotspot di Taranto mancano le garanzie per l’effettivo accesso al diritto di asilo”) – addirittura Msf e Unhcr hanno deciso di lasciare gli hotspot in Grecia per “non essere complici di un sistema ingiusto”.
Evidentemente, l’Unione intende investire sull’aumento dei controlli e delle forze militari. Nonostante, guardando a quanto sta avvenendo alle frontiere e nelle acque che lambiscono l’Europa, la questione sicurezza più pressante, sui cui sarebbe necessario intervenire, sembrerebbe quella che stanno vivendo i molti migranti in fuga dalle proprie terre, abbandonati da un’Europa troppo occupata nel costruire nuovi muri.
Serena Chiodo