Abbassare le tasse, accrescere l’occupazione (non spiegando come), sostenere le imprese e respingere i migranti per aumentare la nostra sicurezza: sono i messaggi più ricorrenti in una delle campagne elettorali più brevi e demagogiche della storia della Repubblica. La propaganda politica rincorre a colpi di slogan l’emotività di un elettorato sfiduciato e incattivito, nel contesto di una crisi democratica che lo allontana sempre più da chi governa, ma dimentica di compiere un serio bilancio del punto in cui siamo e di prospettare un progetto lungimirante e complessivo per lo sviluppo e il futuro del Paese.
Se gli elettori fossero chiamati ad esprimersi su ciò che è stato fatto nel corso della XVIIa legislatura, che cosa direbbero? Quali priorità dimenticate chiederebbero di affrontare?
A partire da questa domanda le organizzazioni della campagna Sbilanciamoci! hanno deciso di realizzare il loro primo bilancio di fine legislatura, proponendo un’accurata ricostruzione dei provvedimenti normativi, degli indirizzi strategici e delle scelte di bilancio che hanno caratterizzato le politiche pubbliche degli ultimi cinque anni.
Politiche industriali, sul lavoro e per il reddito, fisco e finanza, ambiente, istruzione e conoscenza, politiche sociali, sulle migrazioni, per la difesa e per la cooperazione internazionale, per l’economia solidale, sono i temi trattati nel rapporto a partire dai dati sulla spesa pubblica e dai principali indicatori sociali ed economici.
Il bilancio che ne risulta è molto magro e sbilanciato a favore dei soggetti e degli interessi più forti. Per questo il rapporto si chiude con un’agenda politica articolata in 10 macro-proposte sistemiche, alternative e sostenibili rivolte alle forze che si candidano a governare il paese.
Noi abbiamo deciso di segnalare la scheda Addio Mare Nostrum, benvenuto Niger: che restino a casa loro, dedicata a un approfondimento sul tema ‘migrazioni e asilo’.
Addio Mare Nostrum, benvenuto Niger: che restino a casa loro
Il contesto
3 ottobre 2013-6 gennaio 2018: così come si è aperta, la legislatura si chiude nel modo peggiore, con una strage di migranti nel Mediterraneo. Nel 2013 era accaduto a Lampedusa, oggi avviene davanti alle coste libiche. Il vero e proprio genocidio in corso nei nostri mari avrebbe potuto ispirare un cambiamento radicale delle politiche pubbliche su migrazioni e asilo e una maggiore attenzione alla garanzia dei diritti umani.
Invece si è fatto esattamente il contrario. Se il Governo Letta si è distinto per il varo della missione Mare Nostrum, il Governo Renzi l’ha chiusa, mentre il Governo Gentiloni ha rilanciato retoriche politiche e prassi normative che confinano il fenomeno delle migrazioni e dell’asilo in una cornice proibizionista e sicuritaria che mette in conto, come effetti collaterali inevitabili, gravi violazioni dei diritti umani. Soprattutto grazie all’iniziativa del Ministro dell’Interno, il Governo Gentiloni sarà ricordato per uno straordinario ribaltamento di principi e priorità: la salvaguardia dei confini è esplicitamente anteposta alla salvezza della vita delle persone e all’aiuto allo sviluppo; la legalità piegata alle esigenze sicuritarie; l’intervento umanitario criminalizzato come il peggiore dei reati.
La missione militare Mare Nostrum varata dal Governo Letta dopo la strage del 3 ottobre 2013 aveva avuto il merito di individuare nelle operazioni di soccorso in mare e nella salvezza della vita delle persone una priorità, permettendo di mettere in salvo in un anno circa 100mila persone. La missione è stata bruscamente interrotta nell’ottobre 2014 dal Governo Renzi per motivi prioritariamente economici (costo ufficiale dichiarato: 9,3 milioni di euro al mese).
Nella legislatura, la tassa maroniana sulle pratiche di soggiorno e di cittadinanza (80 e 200 euro), dichiarata discriminatoria dalla Corte di Giustizia Europea, non è stata cancellata ma solo ridotta, mentre resta inattuata la legge delega 67/2014, che ha dato mandato al Governo di abolire il reato di “ingresso e soggiorno illegale”. La riduzione dei tempi di permanenza nei Centri di Identificazione ed Espulsione (oggi Centri di Permanenza per il Rimpatrio) da 18 mesi a un massimo di 90 giorni, approvata con la legge europea 2013-bis del 30 ottobre 2014, è stata in parte vanificata dal d.lgs. 142/2015, che ha prolungato il periodo massimo di detenzione per i richiedenti asilo a 12 mesi, e dalla legge 46/2017, che prevede analoghe condizioni per i migranti che hanno scontato una pena in carcere e per i richiedenti asilo respinti.
Il 2015 è stato l’anno della crisi umanitaria nel Mediterraneo orientale, che ha coinvolto in primo luogo la Grecia e i Paesi attraversati dalla Rotta Balcanica. Su pressione dell’Europa e a seguito dell’adozione dell’Agenda europea sull’immigrazione nel maggio 2015, il Governo Renzi ha deciso di “rendere più efficienti” le procedure di identificazione dei migranti, non escludendo il ricorso all’uso della forza, e di adibire a Hotspot alcuni centri governativi esistenti (a Lampedusa, Taranto, Pozzallo e Trapani), proprio quando il d.lgs. 142/2015 ha ridisegnato il sistema di accoglienza italiano non prevedendoli. Obiettivo: facilitare la selezione tra i cosiddetti migranti economici e i richiedenti protezione internazionale allo scopo di respingere, espellere e rimpatriare più agevolmente i primi.
Gli sforzi indubbiamente compiuti con l’adozione di un nuovo Regolamento del sistema ordinario di accoglienza Sprar nell’agosto 2016, l’estensione dei posti disponibili, l’aumento dei finanziamenti a ciò destinati e lo sblocco del turn-over per i Comuni che aderiscono al sistema, non hanno ancora liberato gli interventi di accoglienza dal ricorso a un sistema parallelo emergenziale, gestito dalle Prefetture, che continua a ospitare il 77% dei profughi e dei richiedenti asilo, lasciando spazio a esperienze di mala accoglienza e a un cattivo utilizzo delle risorse che provocano sempre più spesso conflitti, spesso strumentali, sul territorio.
Il Governo Renzi ha salutato con favore la firma dell’accordo tra Unione Europea e Turchia (3 miliardi di euro per fermare la Rotta Balcanica) il 18 marzo 2016, considerandolo un utile precedente per stringere analoghe intese con alcuni Paesi africani, compresa la Libia. A questo si sono ispirati i provvedimenti successivamente adottati: il cosiddetto “Migration Compact” nell’aprile 2016, la firma dei Memorandum d’intesa con il Sudan (3 agosto 2016) e con la Libia (2 febbraio 2017) hanno condizionato la cooperazione con i Paesi terzi alla collaborazione nel contrasto delle migrazioni “illegali”. Da qui l’istituzione con la Legge di Bilancio 2017 di un Fondo per l’Africa: in cambio di investimenti in infrastrutture, equipaggiamenti, dotazioni tecnologiche e formazione delle polizie locali, l’Italia chiede a 13 Paesi di origine e transito dei migranti di fermare i flussi migratori e agevolare le operazioni di rimpatrio.
La chiusura dei canali d’ingresso legale per motivi di lavoro (negli ultimi anni sono state previste quote di ingresso irrisorie e riservate ai lavoratori stagionali) è stato il corollario di una strategia volta ad ogni costo a non “farli arrivare”, ma la regola non vale per tutti: la Legge di Bilancio 2017 ha previsto l’ingresso e l’ottenimento di un permesso di soggiorno extra-quote per cittadini stranieri super-ricchi che investono in società italiane o comprano titoli di stato nazionali.
I due decreti Minniti-Orlando adottati dal Governo Gentiloni hanno sigillato la legislatura (si veda il box di seguito), accompagnati da un inedito attacco alle Ong, dall’imposizione di un nuovo Codice di condotta per le operazioni di soccorso in mare e dalla definitiva rinuncia a portare a termine la riforma della legge 91/92 sulla cittadinanza, una delle priorità indicate nel programma elettorale del 2013 del Partito democratico.
La diffusione di un Piano di integrazione dei titolari di protezione internazionale nell’ottobre 2017 e l’annuncio natalizio dell’apertura di corridoi umanitari per 10mila richiedenti asilo sembrano solo una carota offerta a quegli elettori che potrebbero valutare severamente il bastone scagliato contro la solidarietà e i diritti umani: un marchio indelebile sulla XVII legislatura.
Il provvedimento
I decreti Minniti-Orlando
I due decreti Minniti-Orlando, adottati nel febbraio 2017, hanno introdotto nuove norme in materia di protezione internazionale, di “contrasto all’immigrazione illegale” e di sicurezza urbana.
In particolare, il decreto legge 13/2017, convertito nella legge 46 del 13 aprile 2017, prevede l’istituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea presso un numero esiguo di tribunali (14), frammentando le competenze giurisdizionali in materia. È abolito il secondo grado di appello in caso di rigetto della domanda di protezione da parte delle Commissioni territoriali di asilo, minando fortemente la tutela giurisdizionale del richiedente. È prevista la videoregistrazione dei colloqui dei richiedenti presso le Commissioni territoriali, di cui si prevede l’utilizzo da parte del giudice che si trova a esaminare l’eventuale ricorso contro il diniego della domanda di protezione con una procedura semplificata, senza l’udienza e la comparizione dell’interessato (tranne che in poche eccezioni).
Per facilitare le procedure di identificazione è previsto l’ampliamento del sistema dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio su tutto il territorio nazionale, con preferenza per la loro collocazione nelle aree esterne ai centri urbani. Funzioni e modalità di gestione dei Centri restano invariate, ma sono previsti il contenimento delle loro dimensioni, il prolungamento dei tempi di detenzione in casi specifici e (unica nota positiva) l’accesso del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale con poteri di verifica. I Prefetti, d’intesa con i Comuni, sono chiamati a coinvolgere i richiedenti protezione internazionale, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali, di fatto lavoro volontario non retribuito. Risorse supplementari sono stanziate per l’esecuzione delle operazioni di rimpatrio.
Il decreto legge 14 del 20 febbraio 2017, convertito nella legge 48 del 18 aprile 2017, detta invece disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città. Amplia i poteri dei Sindaci di limitare la libera circolazione delle persone, con provvedimenti di allontanamento o di divieto di accesso sul proprio territorio; un ampliamento che colpisce in primo luogo mendicanti, venditori ambulanti, prostitute e chi occupa illegalmente infrastrutture e aree di interesse culturale o turistico: ovvero i soggetti più deboli e più poveri, che spesso sono stranieri.
La vivibilità e il “decoro” delle città, sono perseguiti attraverso “l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale”, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, e la riesumazione di patti per l’attuazione della sicurezza urbana sottoscritti tra Prefetti e Sindaci. L’esclusione sociale è così richiamata come elemento perturbativo del “decoro” delle città anziché come fenomeno da affrontare con interventi di prevenzione, promozione e protezione sociale dei soggetti più vulnerabili.
Il bilancio
L’impiego delle risorse pubbliche investite su migrazioni e asilo riflette le priorità politiche sopra illustrate, pur nel contesto di un aumento degli arrivi di migranti e richiedenti protezione internazionale che ha costretto i diversi Governi ad aumentare l’impegno sul sistema di accoglienza nazionale, sino a giustificare, per il 2016 e il 2017, la richiesta di allentamento dei vincoli di flessibilità di bilancio a Bruxelles.
I livelli di trasparenza della spesa non consentono di ricostruire un quadro completo, ma l’analisi delle Leggi di Bilancio e dei diversi provvedimenti normativi adottati fornisce informazioni su alcune specifiche voci di spesa rilevanti, riepilogate nella tabella sottostante.
Si tratta di dati parziali, perché le voci relative alle politiche del rifiuto dei migranti (controllo dei mari e delle frontiere, attività di cooperazione con i Paesi terzi finalizzate alla lotta contro le migrazioni “illegali”) e alle operazioni di soccorso in mare sono particolarmente difficili da rilevare in un bilancio che fa di tutto per nasconderle.
Ma appare evidente il grande impiego di risorse nel sistema di detenzione e di accoglienza governativo emergenziale (Cda, Hub, Cara e strutture detentive attingono allo stesso capitolo di bilancio) rispetto a quello destinato allo Sprar, il sistema di accoglienza ordinaria gestito dagli enti locali, che solo a partire dal 2016 ha beneficiato anche di un fondo incentivante destinato ai Comuni disponibili ad accogliere sul proprio territorio nuove strutture.
L’istituzione del Fondo Africa nel 2017 centrata su una più forte cooperazione dei Paesi terzi nel contrasto delle migrazioni “illegali” con alcuni Paesi africani, insieme alle risorse rintracciabili nei documenti di bilancio (sicuramente parziali) per finanziare le operazioni di rimpatrio dei migranti destinatari di un decreto di espulsione, risponde alla strategia di esternalizzazione del diritto di asilo che mira a fermare nuovi arrivi di richiedenti asilo nel nostro Paese.
A tali risorse, per gli anni 2017 e 2018, vanno aggiunte quelle stanziate dal decreto legge Minniti-Orlando 13/2017 per accrescere l’effettività delle misure di espulsione, respingimento e allontanamento dei cittadini stranieri privi di titolo di soggiorno e per accelerare i rimpatri forzati (19,1 milioni di euro per il 2017). Per la realizzazione di nuovi centri di detenzione sono stanziati 13 milioni di euro e per la loro gestione è autorizzata una spesa di 3,8 milioni per il 2017, di 12,4 milioni per il 2018, di 18,2 milioni per il 2019.
Nella stessa direzione vanno i 30 milioni destinati alla missione militare in Niger proposta a fine legislatura: 470 militari e 130 mezzi terrestri e aerei saranno utilizzati per “combattere il terrorismo”, in realtà per fermare i flussi migratori ai confini tra Niger e Libia.
Quanto alle operazioni di soccorso in mare, nel Documento programmatico di bilancio 2017 il Governo ha fornito delle stime per giustificare alla Commissione Europea la richiesta di una maggiore flessibilità di bilancio. La spesa è stata stimata in 909,8 milioni di euro per il 2014, 748 milioni per il 2015, 842,9 milioni per il 2016 e 796 milioni per il 2017.
Resta al palo il Fondo per le politiche migratorie, praticamente non rifinanziato dal 2011, che sino ad allora aveva sostenuto interventi di inclusione sociale, culturale e sportiva di diversa natura.
Il dato
Immigrazioni ed emigrazioni negli ultimi 10 anni
Grafico 6. Numero di immigrati ed emigrati. Anni 2007-2016 Fonte: Elaborazioni su dati Istat
A dispetto delle notizie di cronaca che fin troppo spesso raccontano di una vera e propria “invasione” del nostro Paese da parte degli “stranieri”, i dati ufficiali pubblicati dall’Istat restituiscono un quadro diverso e in controtendenza. Considerando i flussi migratori in un arco temporale di 10 anni, le immigrazioni[1] sono infatti drasticamente diminuite, passando da poco più di 527mila nel 2001 a circa 301mila nel 2016. Il numero, dunque, si è quasi dimezzato.
A questo calo è corrisposto un aumento delle emigrazioni [2], che nello stesso periodo sono più che triplicate. Nel 2007 le persone che lasciavano l’Italia erano poco più di 51mila, oggi sono oltre 157mila. Nel 2016 hanno trasferito la propria residenza all’estero in prevalenza uomini, con il 50% circa del totale dei trasferimenti (56% nel caso dei soli italiani), e giovani in età 18-39 anni (nel complesso il 50%, oltre il 53% considerando solo gli italiani).
Ma al di là delle grandezze di flusso che danno un’idea delle tendenze migratorie, quanti sono gli italiani residenti all’estero? Il calcolo non è facilissimo, le fonti sono diverse e le informazioni raccolte disomogenee. Secondo i dati Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) all’1 gennaio 2016 risultano iscritti in anagrafe oltre 4,9milioni di italiani [3]. I dati dell’Anagrafe consolare del Ministero degli Esteri parlano addirittura di oltre 5,3milioni [4] Pur in mancanza di un dato certo, questi numeri raccontano una verità: se si considera che gli stranieri residenti in Italia sono, all’1 gennaio 2017, poco più di 5milioni, gli italiani all’estero e gli stranieri in Italia sono ormai su ordini di grandezza simili.
Lasciamoli entrare: la buona accoglienza antidoto contro il razzismo
Il 2017 è il quindicesimo anno in cui la legge Bossi-Fini è in vigore. E la XVII legislatura appena conclusa è stata quella in cui l’immigrazione si è imposta nel dibattito pubblico in forme tragiche e riprovevoli – le stragi in mare e l’inverno nei Balcani dei profughi siriani da un lato, e dall’altro le prese di posizione razziste di alcuni partiti politici che sulla pelle dei migranti hanno parlato ai bassi istinti delle società nazionali. L’impossibilità di arrivare in Italia per vie legali ha alimentato il commercio di esseri umani e gli ingressi via mare, contribuendo oltretutto all’impennata di domande di asilo politico da parte dei cosiddetti “migranti economici”, che non hanno altro modo per entrare nel Paese.
Le dinamiche migratorie di questi anni sono diverse da quelle di altre fasi storiche, per molte ragioni: arrivano sulla scia di una crisi economica che ha indebolito i fattori di attrazione (la domanda di manodopera qualificata e non); c’è una spinta migratoria dai Paesi africani nella quale non è facile distinguere i fattori economici da quelli legati alla persecuzione da parte dei Governi o alla fuga dai conflitti (Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Nigeria); c’è una progressiva chiusura anche ai richiedenti asilo da parte dell’Unione Europea. Non solo, la crisi e gli attentati terroristici in Europa hanno fatto crescere inquietudini e paure, che vengono alimentate e strumentalizzate da alcune forze politiche in tutto il continente.
È in questo contesto che il Governo italiano ha scelto di fermare ad ogni costo gli arrivi e di siglare accordi con le autorità libiche per il trattenimento dei migranti e dei profughi in quel Paese, con le conseguenze umanitarie che conosciamo.
La Proposta
Pensiamo che le politiche migratorie debbano cambiare in tre direzioni:
- vanno aboliti la Bossi-Fini e i decreti Minniti-Orlando, perché in 15 anni non hanno ridotto i flussi migratori in nessun modo, ma hanno reso la possibilità di arrivare in Italia, di cercare un lavoro e di inserirsi nel tessuto sociale, più difficile e pericoloso;
- occorre lavorare in Europa per cambiare il regolamento Dublino che obbliga i richiedenti asilo a fare domanda per ottenere lo status di rifugiato nel primo Paese europeo in cui mettono piede;
- si deve abbandonare la logica dell’emergenza e potenziare il sistema di accoglienza decentrato Sprar, e al contempo investire in politiche di inclusione sociale e lavorativa destinandovi le risorse necessarie.
La Cifra
5 miliardi e 500 milioni di euro. Nella XVII legislatura i fondi destinati all’accoglienza emergenziale e alla detenzione nei Cie sono quasi cinque volte di più di quelli destinati alle politiche ordinarie di accoglienza decentrate (che ammontano a 1 miliardo e 300 milioni). Soldi che potrebbero essere usati meglio ampliando l’accoglienza diffusa da un lato e investendo nella formazione, nell’inserimento abitativo e sociale delle persone accolte, dall’altro.
[1] Qui definite come il numero di persone provenienti dall’estero che si sono iscritte a una anagrafe italiana. Il dato comprende sia le persone di cittadinanza straniera sia quelle di cittadinanza italiana.
[2] Qui definite come il numero di persone provenienti dall’Italia che si sono iscritte a una anagrafe estera. Il dato comprende sia le persone di cittadinanza straniera emigrate dall’Italia sia quelle di cittadinanza italiana.
[3] Dati pubblicati dalla Fondazione Migrantes nel Rapporto Italiani nel Mondo 2016.
[4] Dati pubblicati dal Ministero degli Esteri nell’Annuario statistico 2017.