Il vertice straordinario tra i 28 paesi europei e la Turchia, svoltosi ieri a Bruxelles per oltre tre ore, è terminato con l’approvazione ufficiale del piano comune d’azione che il Consiglio europeo aveva già proposto il 15 ottobre scorso, volto a trattenere in Turchia i rifugiati siriani che vi arrivano, in fuga dalla guerra civile e con l’intenzione di raggiungere l’Europa.
La posta in gioco su entrambi i tavoli si è mantenuta molto alta: per l’Europa, vi è la “sicurezza” dei confini davanti alla minaccia jihadista e la limitazione degli arrivi di migranti in Europa; per la Turchia, invece, vi sono gli aiuti economici e la riapertura delle trattative avviate dieci anni fa e rimaste in stallo, per l’ingresso in Europa.
Ma di fatto, al di là delle dichiarazioni di facciata, Ankara ha promesso di blindare i confini e contenere il numero di profughi diretti in Europa. In cambio: 3 miliardi di euro, quantificati per ospitare 2,2 milioni di rifugiati siriani, attraverso un dispositivo già varato dalla Commissione europea il 24 novembre, lo “Strumento per i rifugiati a favore della Turchia“, e la ripartenza dei negoziati per l’adesione all’Unione europea (qui lo stato dei negoziati).
Di fatto, l’Unione europea, dal canto suo, ha affidato alla Turchia il compito di limitare i flussi di profughi che scappano dai conflitti mediorientali e di mettere a riparo e proteggere le sue frontiere “esterne” (ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, «Senza questo, Schengen diventerà storia»).
Non è stato però ancora deciso chi dovrà materialmente finanziare la Turchia con i previsti tre miliardi di euro «iniziali»: la Commissione ha proposto uno stanziamento di 500 milioni dal Bilancio dell’Unione Europea chiedendo che gli altri 2,5 miliardi siano stanziati dai governi (ma Cipro, Grecia, Croazia e Ungheria hanno già fatto sapere che non pagheranno).
L’accordo trovato a Bruxelles prevede anche l’impegno a liberalizzare i visti per i cittadini turchi che vorranno viaggiare in Europa. Le trattative sull’adesione dovrebbero iniziare ufficialmente il 14 dicembre, mentre la liberalizzazione dei visti dovrebbe completarsi entro il 2016 e l’accordo di riammissione per i profughi diventare operativo dal prossimo giugno.
In realtà, l’accordo con Ankara servirà all’UE anche a riportare in Turchia i cosiddetti “migranti economici irregolari” che vi hanno transitato prima di arrivare nell’Ue, una volta che sia stato stabilito che non hanno diritto alla protezione internazionale. Spetterà alle autorità turche rimpatriarli nei rispettivi paesi d’origine. Tutto questo, è scritto chiaramente nelle conclusioni del vertice. “Si devono ottenere – si legge al paragrafo 7 – risultati soprattutto nel contenimento dell’afflusso di migranti irregolari. L’Ue e la Turchia hanno convenuto di attuare il piano d’azione comune che porterà ordine nei flussi migratori e contribuirà a contenere la migrazione irregolare. Ne consegue che entrambe le parti, come convenuto e con effetto immediato, intensificheranno la loro cooperazione attiva sui migranti che non hanno bisogno di protezione internazionale, impedendo i viaggi verso la Turchia e l’Ue, assicurando l’applicazione delle disposizioni bilaterali di riammissione in vigore e rinviando rapidamente i migranti che non hanno bisogno di protezione internazionale nei rispettivi paesi d’origine” (qui il comunicato per intero).
Del resto, come ha riferito il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, “un milione e mezzo di persone è entrato illegalmente nell’Ue nel 2015, la maggior parte delle quali attraverso la Turchia. Non si può aggiungere altro carico sulle spalle della Turchia che ha già dimostrato solidarietà accogliendo due milioni di rifugiati”.
Un altro elemento di conto che è emerso dal vertice è l’iniziativa di otto Paesi membri (Germania, Grecia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Austria, Finlandia e Svezia) per il reinsediamento di alcune centinaia di migliaia di rifugiati siriani che verrebbero “prelevati” direttamente dai campi profughi turchi, per alleggerire la pressione su Ankara. Entro la metà di dicembre, la Commissione europea presenterà una raccomandazione per strutturare l’iniziativa in modo che possano parteciparvi volontariamente tutti gli Stati membri che lo vorranno.
Ma tornando ai 3 miliardi concessi: l’accordo lascia la porta aperta ad altre somme successive, a patto che i finanziamenti vengano sottoposti a condizioni e revisioni («Verseremo i tre miliardi alla luce dei progressi» sul campo, ha dichiarato il presidente francese Francois Hollande). A questo proposito, il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha chiesto che Ankara rispetti una serie di parametri anche nel campo della libertà di stampa e dei diritti umani.
Tuttavia, nonostante i buoni propositi dichiarati, nella dichiarazione finale del vertice non sono state stigmatizzate le violazioni dei diritti umani, l’ambiguità delle politiche di Erdogan in Siria, la libertà di stampa sotto pressione e le tensioni con la Russia. Le poche critiche sono state mosse solo da alcuni leader e dall’Alto rappresentante per la politica Estera, Federica Mogherini. Ankara, d’altra parte, non ha ottenuto lo status di «Paese sicuro»: cosa che impedirebbe ai curdi di chiedere asilo politico nell’Unione per sfuggire alle azioni repressive della polizia e dei militari turchi.
Soltanto una quindicina di giorni fa la Commissione europea, nel capitolo dedicato alla Turchia del rapporto sui Paesi candidati all’adesione all’Unione Europea, affermava che invece di progredire, negli ultimi dodici mesi, in Turchia sono stati fatti “importanti passi indietro”, soprattutto per quanto riguarda la libertà di espressione e di assemblea, permanendo “ancora gravi carenze”, nonostante gli sforzi fatti per tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali.
La domanda sorge spontanea: a chi stiamo affidando la tutela dei diritti umani dei numerosi profughi e migranti che lasciano i loro paesi perché non hanno scelta?